La decisione sul conflitto di attribuzione
Caso Renzi, perché la scelta del Senato ricade su tutti noi

La seduta del Senato sulla vicenda Renzi, Carrai e conflitto di attribuzione nei confronti della procura di Firenze ha squadernato una questione di grande rilevanza. Purtroppo i riflessi condizionati di un dibattito ormai inquinato dalle parole d’ordine l’hanno banalizzata come l’ennesimo scontro interno alla “casta”. E invece non è affatto così. Perché in gioco non ci sono solo le prerogative parlamentari, privilegio per gli uni, caposaldo dello stato costituzionale per gli altri. In gioco ci sono i diritti di tutti i cittadini, anche di quelli che alla “casta” non appartengono e non apparterranno mai. Basta questo per essere comunque contenti che la questione verrà affrontata dal più importante organo di garanzia della Costituzione: la Corte costituzionale.
La Corte infatti è chiamata a fare chiarezza su un punto cruciale. Fin dove si estende la tutela costituzionale delle comunicazioni? E sì, perché è vero che si parla dell’art. 68 e delle prerogative dei parlamentari, ma il perimetro di quelle prerogative, l’ambito oggettivo rispetto al quale quelle prerogative speciali si applicano è figlio del perimetro della libertà che a tutti è assicurata dall’art. 15 della nostra Carta. Il problema nella vicenda che ha riempito le pagine dei giornali riguarda infatti quali “fenomeni” rientrino nell’area protetta della libertà e segretezza delle comunicazioni. Se un certo fenomeno, ad esempio un messaggio whatsapp, di posta elettronica o un sms vi rientrano, ne discenderà che i parlamentari saranno “protetti” anche dalla garanzia dell’autorizzazione della Camera di appartenenza.
Ma, l’autorizzazione non è l’unica garanzia. Ve ne sono altre che l’art. 15 della Costituzione prevede non solo per i cittadini parlamentari, ma per tutti. Si tratta, ad esempio, delle garanzie a cui si riferisce quell’articolo allorché prevede che le limitazioni di libertà e segretezza delle comunicazioni debbano avvenire “soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge”. Perché dunque la questione non riguarda solo Renzi, i parlamentari o l’autonomia del Parlamento, ma tutti noi? Perché, appunto, tutta la controversia ruota intorno a come qualificare quei particolari “fenomeni” o “fatti comunicativi” che sono gli estratti conto, le mail, i messaggi whatsapp. E si potrebbe astrattamente aggiungere: i file audio, gli allegati, le foto, gli emoticon, i meme (e chi più ne ha più ne metta) trasmessi da un mittente a un destinatario mediante i più diversi strumenti (informatici, tradizionali, via etere, ecc.). Se quei fenomeni rientrano nella corrispondenza o nella comunicazione si applicheranno gli art. 15 e 68, sennò la garanzia non varrà per nessuno.
E che la questione riguardi i cittadini comuni è dimostrato, ad esempio, da quella giurisprudenza della cassazione in sede penale, la quale ritiene (con riferimento a qualsiasi imputato, “pur non appartenente alla casta”) che i messaggi whatsapp non rientrino nella nozione costituzionale di comunicazione e dunque siano da trattare come dei semplici documenti, acquisibili anche presso il destinatario con formalità e procedure assai più blande di quelle previste per il caso di sequestro della corrispondenza o per le intercettazioni telefoniche.
Questa giurisprudenza, effettivamente piuttosto consolidata (ed estesa anche a mail, o sms) si fonda sull’idea che la garanzia costituzionale riguardi solo il momento della trasmissione dei messaggi. Una volta atterrata su un dispositivo, la comunicazione cessa di essere tale, diventa un documento e perde inoltre la garanzia di segretezza che l’art. 15 Cost. riconosce come vero e proprio diritto.
Insomma, guardando al passato, è come dire che la mia corrispondenza mediante lettera vergata a mano, magari con piuma e calamaio, sia tutelata solo fin quando arriva al destinatario. E che da una volta aperta il contenuto sia tranquillamente divulgabile. In senso opposto, però, si sono espressi non solo molti studiosi e accademici, ma anche altri giudici. A cominciare dalla stessa Cassazione in sede civile, oltre che la Corte europea dei diritti dell’uomo, le quali hanno considerato mail, sms e messaggi facebook pienamente rientranti nel concetto di libertà di corrispondenza e comunicazione, anche una volta archiviati (caso Wieser e Bicos Beteiligungen GmbH c. Austria, del 2007, caso Petri Sallinen e altri c. Finlandia, 2005; caso Iliya Stefanov c. Bulgaria, 2008).
Del resto, questa ipotetica distinzione tra fase della trasmissione e fase “dell’archiviazione” che trasforma magicamente la “comunicazione” in documento allorché sia giunta al destinatario, se pur avesse astrattamente un senso giuridico, non lo avrebbe sul piano materiale. Perché, a differenza di una lettera tradizionale, che veniva affrancata, messa in cassetta, presa dal postino, recapitata al destinatario, le comunicazioni elettroniche si caratterizzano per l’istantaneità del processo, per cui appare materialmente impossibile distinguere tra un momento di “trasmissione” e un momento di “archiviazione” nel dispositivo.
Ma quand’anche si potesse intercettare la comunicazione nell’istante della trasmissione, si dovrebbe conseguentemente affermare che il concetto di “sequestro della corrispondenza” di cui parla l’art. 68 della Costituzione sia privo di qualsiasi senso con riferimento alle comunicazioni elettroniche. Perché in realtà la corrispondenza è tale, secondo questa tesi, solo nel momento della trasmissione e dunque non di sequestro si dovrebbe parlare, ma di intercettazione (nel momento del suo fluire). A ciò si aggiunga che, ben poca cosa sarebbe una libertà tutelata in questo modo. Che senso avrebbe garantire la libertà e segretezza se poi una volta che il destinatario riceve il mio messaggio quello può essere tranquillamente divulgato o preso in possesso da terzi? La dottrina costituzionalistica, addirittura, è pressoché unanime nel ritenere che anche il destinatario è tenuto a rispettare la segretezza della mia comunicazione finché anche il mittente non acconsenta alla divulgazione.
Anche perché è propria della comunicazione, rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, la caratteristica di essere limitata a destinatari determinati e non a chiunque. E’ molto opportuno dunque che la Corte costituzionale dica una parola definitiva su questa materia. E lo è nell’interesse di tutti, non solo di qualche “privilegiato” contro cui scatenare la rabbia della piazza. Anche perché essendosi la Corte già espressa, ad esempio, sul fatto che i tabulati telefonici siano coperti dalla garanzia delle comunicazioni (sent. 188/2010 e 38/2019), appare difficile pensare che meri dati sul traffico siano tutelati, mentre non lo siano i “contenuti” di quel traffico, solo perché ormai “atterrati” nel ventre di uno smartphone.
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