Tutte le volte in cui Fratelli d'Italia non è stato garantista
Caso Santanché, la storia del (non) garantismo di Giorgia Meloni: quando la presunzione d’innocenza è politica
Oggi Fratelli d’Italia è sotto i riflettori: la ministra del Turismo, Daniela Santanchè riferirà alle 15 in Senato sulla vicenda che riguarda le sue attività di imprenditrice, proprio quando il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, riferirà alla Camera sulla vicenda Sgarbi-Maxxi. Sincronia perfetta per depistare l’attenzione o casuale incastro di agende?
Le due vicende non si equivalgono, la protagonista del momento è senz’altro lei, la ministra di Fratelli d’Italia. Santanchè riferirà quanto di sua conoscenza per la gestione delle società Ki Group (acquistata nel 2006 insieme all’ex compagno Canio Mazzaro) e sulla concessionaria Visibilia, per i cui creditori la ministra ha dovuto vincolare la sua villa di Milano. I sospetti sono gravi, le accuse sfiorerebbero la truffa e il falso in bilancio: nella sua inchiesta Report accusava in sostanza Santanchè di aver gestito male due sue aziende in particolare, di cui non è più proprietaria: la stessa Visibilia, che negli anni era cresciuta ed era diventata anche una casa editrice, e la società di investimenti Ki Group. Report documentava l’accumulo di molti debiti da parte di entrambe le aziende, gestiti perlopiù con passaggi societari poco trasparenti.
Le opposizioni si preparano ad alzare i toni. Il M5S non vede l’ora. Ma non succederà molto. Il Pd lo sa: “Non siamo contenti anche perché l’informativa in Senato prevede il suo intervento, un intervento per gruppo, nessun contraddittorio e nessun voto. Peraltro la maggioranza ha negato la possibilità di discuterne anche alla Camera”, protesta l’ex capogruppo dem alla Camera, Debora Serracchiani. “Mai e poi mai le inchieste giornalistiche possono determinare l’azione politica di un governo eletto dagli italiani”, rassicura Maurizio Lupi di Noi Moderati. Per Matteo Salvini “Sei innocente fino a prova contraria”. Giorgia Meloni, già in tensione per le fibrillazioni tra Matteo Salvini e Antonio Tajani, ha blindato la sua ministra: “Di dimissioni non se ne parla neanche”.
D’altronde risponde a un sacrosanto principio garantista: non ci si può dimettere per assecondare la richiesta di questa o quella trasmissione televisiva. E il “giornalismo a tesi”, sappiamo bene come funziona. Santanchè non farà nessun passo indietro senza una sentenza definitiva passata in giudicato. Persino nel suo discorso di insediamento, Meloni aveva fatto riferimento al garantismo: “Saremo garantisti sempre, finché si è solo indagati c’è la presunzione di innocenza”. Il ministro Carlo Nordio, che Meloni ha fortemente voluto alla Giustizia, ne è il massimo garante. Peccato non abbia sempre tenuto la stessa postura.
La storia del garantismo meloniano è infarcita di eccezioni. Ad ogni apertura di inchiesta giudiziaria, anche nelle città di provincia, quando l’indagato è di centrosinistra, segue quasi puntualmente la richiesta di dimissioni perentoria e immediata di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni è sempre il primo a chiedere il passo indietro dell’indagato. A fine marzo del 2015 il capo di Gabinetto di Nicola Zingaretti, governatore della Regione Lazio, venne raggiunto da un avviso di garanzia. Fdi chiese subito le dimissioni di Zingaretti. Nel giugno 2015 arrivarono gli avvisi di garanzia per Mafia Capitale, una inchiesta poi ampliamente ridimensionata. Prima ancora di capirne gli intrecci o di leggere gli atti, Giorgia Meloni chiese le dimissioni di Ignazio Marino.
Nel dicembre del 2017 fu la Procura di Milano a iscrivere il sindaco del capoluogo lombardo nel registro degli indagati per due reati amministrativi connessi ad Expo. Non passarono che poche ore ed ecco la richiesta di dimissioni immediate di Fratelli d’Italia. Nel 2019 sarà la volta della Procura di Perugia, con una operazione tanto spettacolosa quanto esagerata, a far volteggiare gli elicotteri sopra al palazzo della Regione Umbra. Appena consegnato un avviso di garanzia all’allora Presidente, Catiuscia Marini, ecco planare le scandalizzate richieste di dimissioni firmate Meloni.
E come non ricordare il caso di Bibbiano? Quando venne resa nota la notizia dei 26 indagati, la leader di Fratelli d’Italia arrivò per prima e chiese il passo indietro di tutti gli amministratori locali interessati. Sindaci del Pd, inutile dirlo. Quando nel maggio 2020 Fulvio Baldi, capo di gabinetto del Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, è intercettato in relazione al caso Palamara, Fdi chiede le dimissioni di Bonafede, non indagato. E che dire di quel che avvenne nel dicembre 2021 intorno al Viminale? Arrivò un avviso di garanzia alla moglie del capo dipartimento dell’immigrazione del Ministero dell’Interno. Non a lui, alla moglie. E la sera stessa Giorgia Meloni chiese a gran voce le dimissioni della ministra Lamorgese. Gli esempi sarebbero tanti, la lista è lunga. Il garantismo a doppio senso è una costante della politica italiana, della destra contro la sinistra e viceversa. La strada verso la presunzione di innocenza è irta di tentazioni. Prima o poi diventerà davvero un principio condiviso, un basamento universale della civiltà.
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