Il caso del generale Roberto Vannacci, il libro “Il mondo al contrario” dove prende  di mira le ‘afflizioni della società’ a partire dai gay (“non siete normali”) e la testimonianza, rilasciata a Repubblica, di un ufficiale dell’Esercito omosessuale dichiarato. 

Dopo l’azione disciplinare dello Stato Maggiore dell’Esercito nei confronti dell’autore del libro, “che cesserà dalle sue funzioni di Comandante presso l’Istituto Geografico Militare il 20 agosto 2023” e “dal 21 agosto sarà trasferito come forza extra organica al Comando delle Forze Operative Terrestri e sarà messo a disposizione del Comandante dell’Area Territoriale per varie responsabilità presso la sede di Firenze”, l’ufficiale intervistato dal quotidiano romano presta servizio da oltre 30 anni, è un veterano che vanta anche diverse esperienze all’estero. 

“Ho provato un forte sdegno come omosessuale e come soldato” ha spiegato dopo aver letto del libro di Vannacci. “Prima verifico e controverifico, perché mi dico: ma è impazzito? Di Vannacci non avevo mai sentito parlare. Ho pensato a me stesso e ha chi ha le spalle meno larghe delle mie. Ho pensato a un 18enne che magari non si arruola più. Poi si va per associazione: uno legge che un generale ha questa opinione e poi pensa che tutto l’esercito sia così” aggiunge.

Oggi nell’esercito, secondo il veterano, non c’è più il machismo, non è più un “fenomeno tossico” perché “l’introduzione delle donne dal 2000 ha cambiato tutto, oggi comandano battaglioni di 500 persone. C’è una forte componente di orgoglio ma riguarda il senso di appartenenza al corpo, tu sei l’extrema ratio di fronte alla crisi di qualsiasi tipo e questo inorgoglisce. Anche chi entra per cercare un lavoro poi dopo si fa trasmettere questo senso: aiuti alla popolazione dopo i terremoti, interposizione pacifica nei conflitti, in Romagna dopo l’alluvione abbiamo aiutato migliaia di persone. Ti senti al servizio dell’altro, questo è fare il soldato”.

Militare che poi sottolinea, a suo avviso, le responsabilità di chi è in uniforme: “Devi essere al di sopra di ogni commento personale, quel grado che hai davanti significa che sei pagato dai cittadini per aiutare la popolazione, per difenderla, per stare al servizio della comunità. Se esterno le mie idee politiche cambio la prospettiva del mio ruolo”.

A infastidirlo, oltre alle idee espresse sugli omosessuali, anche la posizione su Putin (“leggere dalla Russia come di un Paese in cui si vive bene…”) e sulla divisione del mondo “per aree culturali”.
Per il veterano dell’Esercito non si tratta di libertà di parola, quella a cui si appella Vannacci: “Se io mi chiamo Luca Rossi e sono un colonnello dell’esercito, domani esco con un libro e voglio parlare del problema delle api che diminuiscono, nella biografia non metto che sono militare. Teoricamente posso pubblicarlo senza avvertire nessuno, anche se io per scrupolo lo manderei in visione ai superiori. Ma se ne scrivo uno dove faccio molti riferimenti alle mie operazioni passate, sto mettendo in campo porzioni di storie avvenute in servizio. Già per quello devo chiedere l’autorizzazione. Quando lui parla di operazione “di pace” tra virgolette, quando parla di ambasciata a Mosca e ha favorito alcune persone per un visto, quello è parte del servizio”.

Dopo l’uscita e il relativo clamore mediatico del libro di Vannacci, nell’Esercito “quelli che ho sentito io e hanno fatto coming out, non sono tantissimi, più che arrabbiarsi si sono impauriti. Diciamo che ti fa guardare intorno con più sospetto, per loro leggere le parole dello stato Maggiore e del ministro è stato un enorme sollievo”.

Il militare ricorda il suo coming out, avvenuto intorno ai 50 anni “perché erano cambiati i tempi, il mondo finalmente si stava aprendo, l’Oms aveva finalmente cancellato il passaggio in cui definiva l’omosessualità disturbo della personalità”. In precedenza ha dovuto fingere, “prima ho fatto finta per anni di essere etero, ho sentito molte battute sui gay ma come le senti ovunque”. Un percorso più che una dichiarazione solenne, “non lo fai un giorno, ne fai tanti in contesti diversi” sottolinea. “Ora non ho più problemi a dirlo. Però ritengo importante farlo sapere anche come esempio per i giovani. Magari senza vestiti sgargianti vado ai Pride, nella convinzione che un diritto in più per una categoria è un diritto in più per tutti. Così come uno in meno”.

Militare che smentisce, infine, anche il luogo comune sui paracadutisti, ‘famosi’ per le loro posizioni di estrema destra. “Si riferisce a fatti vecchi di decenni. Quando la leva era obbligatoria per tutti, per un iper-nazionalista andare a fare il militare era considerata un’esperienza positiva ed eccitante. I parà sono un corpo particolarmente ardimentoso, la cui fondazione risale ai tempi del fascismo questo anche per motivi storici, gli aerei in battaglia e relativi lanci si svilupparono all’epoca. Molti oggi fanno i parà perché è un’attività sportiva estrema, altri per ragioni geografiche, perché significa stare in Italia centrale, altri ancora per spirito di avventura. Che sia un covo di fascisti lo escludo. Chi fa il militare giura sulla Costituzione e la nostra Carta parla chiaro, un fascista che si arruola farebbe uno spergiuro”.

 

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