Caso Zaki è solo la punta dell’iceberg di un “caso Egitto”

«Quello di Patrick George Zaki è uno dei rari casi di cui si sa qualcosa tra le migliaia di persone nelle carceri egiziane di cui non si sa più nulla. Migliaia di “desaparecidos” dei quali né i famigliari né gli avvocati sanno dove sono detenuti e con quali capi d’imputazione. Questo ragazzo è la punta dell’iceberg di una situazione che porta alla luce il caso-Egitto». Ad evidenziarlo, con Il Riformista è Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, oggi senatrice di +Europa. L’Egitto dove l’emergenza è normalità, e lo stato di diritto un non senso. Amnesty International ha denunciato il tentativo delle autorità egiziane di normalizzare le violazioni dei diritti umani attraverso misure che servono a “legalizzare” la crescente repressione della libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.

«Attraverso una serie di leggi draconiane e di tattiche repressive delle sue forze di sicurezza, il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha orchestrato una campagna coordinata per rafforzare la stretta sul potere, erodendo ulteriormente l’indipendenza del potere giudiziario e imponendo soffocanti limitazioni nei confronti dei mezzi d’informazione, delle Ong, dei sindacati, dei partiti politici e dei gruppi e attivisti indipendenti», rimarca Magdalena Mughrabi, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza. Dal 2014 sono state emesse 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite. La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.

La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive. Secondo l’Associazione per la libertà di pensiero e di espressione, dal maggio 2017 le autorità egiziane hanno bloccato almeno 513 siti web, tra cui portali informativi e di organizzazioni per i diritti umani. Gli emendamenti costituzionali adottati nel 2019 hanno indebolito il primato della legge, compromesso l’indipendenza del potere giudiziario, aumentato i processi in corte marziale per i civili, eroso ulteriormente le garanzie di un processo equo e cristallizzato l’impunità per i membri delle forze armate. Gli emendamenti consentiranno anche al presidente al-Sisi di controllare dall’inizio alla fine l’applicazione delle norme che “legalizzano” la repressione, attraverso il potere di nomina delle alte cariche giudiziarie e la supervisione in materia giudiziaria. Della stagione della speranza, delle istanze di libertà che mossero la “rivoluzione di Piazza Tahir”, non sembra restare traccia.

Di quei protagonisti, molti sono in carcere e in tanti altri a dominare sono la delusione e la paura. Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle prigioni lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il dato di migliaia di persone condannate per false accuse o a causa di leggi che limitano la libertà di espressione e di manifestazione pacifica, è in profondo contrasto coi pochi casi di agenti di polizia processati per violazioni dei diritti umani a partire dal gennaio 2011. E così la “generazione del coraggio”, osannata nove anni fa, è diventata la “generazione carcere”.. E dal carcere in tanti sono usciti con i segni indelebili della tortura. Questo è l’Egitto del “faraone”: uno stato di polizia dove la tortura è la regola, le sparizioni una normalità. E l’Europa sta a guardare.