Probabilmente, su tutto, di Catherine Spaak, morta nei giorni scorsi a 77 anni (era nata in Francia, nella cintura parigina, a Boulogne-Billancourt, il 3 aprile 1945) ricorderemo intatta, immobile, nell’incanto del nostro sguardo, Lilly, l’adolescente de Il sorpasso. Ne rivedremo il sorriso, il broncio trattenuto, lei, ora e sempre, accanto a Vittorio Gassman. Tutina aderente ai fianchi a righe orizzontali, taglio carré, Catherine messaggera di un biondo che restituisce eros e stupefazione. E ancora la lieve asimmetria degli incisivi, lo splendore acerbo della “ragazza francese”, anzi, belga, figlia di attori, nipote di un “padre” fondatore dell’Europa post-bellica, il socialdemocratico Paul-Henri, che sarà infine primo ministro del Belgio.

E ancora Catherine tornerà nel ricordo nuovamente “ragazza”, lei ne La voglia matta di Luciano Salce, dispettosa lolita che porta amorosa disperazione negli occhi di un affranto quarantenne, Ugo Tognazzi, pronto a far ritorno sconsolato, a bordo della sua spider, le piume da capo indiano sul capo, toro sconfitto, lungo la litoranea del Circeo, così nell’eternità del bianco e nero emozionale, cinematografico degli anni Sessanta. Catherine Spaak è stata un volto, un viso, un ovale familiare, sussurrato nell’Italia del boom economico, “vocina” d’Oltralpe, eccola infatti Catherine mentre canta un brano-manifesto, “Quelli della mia età” cioè “Tous les garçons et les filles” di Françoise Hardy, e ancora “L’esercito del surf” – “Noi siamo i giovani, i giovani…” – sempre il suo viso tra jukebox e copertine iconiche di 45 giri, feste e sogni di ragazzi e ragazze, hit parade, “concessionaria” in prestito dall’altrove “francese” dell’eros adolescenziale. Anche lì la pronuncia acerba, la desiderabilità, il “sogno proibito”, e poi ancora lei, sempre ragazza, sul letto, le banconote a coprirne la nudità ne La noia di Damiano Damiani dal libro di Alberto Moravia.

La ritroveremo, non più ragazza, non meno desiderabile, è già il 1976, titolare di un bar di via d’Ara Coeli, tra Campidoglio e piazza Venezia, in Febbre da cavallo, “moglie” furente dell’incorreggibile Mandrake-Gigi Proietti. Se può essere d’aiuto nella comprensione della sua “desiderabilità” impertinente la ricorderemo ancora con i nostri occhi innamorati di adolescente in un altro film, Certo, certissimo anzi probabile, 1969: due giovani amichette, lei e Claudia Cardinale, a contendersi il maschio, salvo infine scoprire che il comune oggetto d’amore preferisca invece il suo migliore amico, e con questi partirà per un lungo viaggio in barca a vela. La “biondità” di Catherine Spaak, lo sguardo di scorcio, e poco importa se la sua bellezza sembrasse contraddetta dalla montatura degli occhiali, poi sempre lei, Catherine, “la Spaak”, al fianco di Johnny Dorelli nel musical di Neil Simon, le musiche di Burt Bacharach, Promesse promesse, attrice, cantante, partner; professionalmente ineccepibile, nonostante la voglia di non essere diva: la sua parole di distanza dalle scene stesse, confessate a chi sta scrivendo, meglio, al ragazzo di un tempo che le racconta d’essere “stato innamorato di lei”, e Catherine, anzi, “la Spaak” che così risponde: “Non ho più rivisto i film che ho fatto…”, con lieve punta di alterigia signorile “francese”, forse anche con sfumata sufficienza, lei che, raccontando del padre, spiega la diffidenza, di quando lui le chiese di lasciarsi andare giù dalla cima di un armadio, perché certamente l’avrebbe salvata tra le braccia, e invece la lasciò cadere sul pavimento, aggiungendo un istante dopo, come lezione i giorni futuri: “Così imparerai a non fidarti di nessuno”.

Catherine, “la Spaak” e il suo marcato distacco dal cinema, infatti anni dopo, già “signora”, la ritroveremo “intervistatrice” sul Corriere della Sera, poi in televisione, nel salotto di Harem su Raitre, ospite di altre donne con complicità, sebbene algida e distacco, le gambe accavallate, padrona di casa complice eppure distante.
Il turista di passaggio a Roma, in certi anni, sollevando lo sguardo sugli attici di piazza di Spagna sembrava cercarla lassù, proprio lassù, dove abitava, tra invidia provinciale e speranza segreta di incontrarla, come si desidera accogliere nel proprio sguardo, tra via del Babuino e l’infilata di Trinità dei Monti, sogno suggerito dagli scatti dei paparazzi che talvolta ne seguivano il suo quotidiano privato, l’allure, l’oro di Catherine, miraggio della mondanità romana da rotocalco. Andrà ricordato il matrimonio con Fabrizio Capucci, la nascita di Sabrina, una storia amara, ne racconterà così: “Era il ‘62, avevo 17 anni e, per la mentalità dell’epoca era uno scandalo. Presi la bambina e scappai. Loro non me la perdonarono e sporsero denuncia. Fui arrestata a Bardonecchia. Allora c’era la patria potestà, una donna non era veramente libera. Così mi riportarono a Roma con mia figlia, per tutto il viaggio in braccio a un carabiniere”.

Le fu tolta. “La motivazione era, a dir poco, discutibile. Sosteneva che la madre, cioè io, essendo un’attrice, era di dubbia moralità. Quindi la bambina sarebbe rimasta con la nonna paterna. Hanno distrutto la mia vita. E quella di Sabrina”. Con Dorelli sarà invece un racconto “borghese”, verrà la nascita di Gabriele nel 1971. Catherine Spaak non ha mai amato se stessa diva, è rimasta “apolide” rispetto alla fama, se così può dirsi, eppure, nella percezione comune resta tuttavia intatta nel tempo cinematografico, il suo. Incancellabile Dora ne La parmigiana di Antonio Pietrangeli o Maria, ne La bugiarda di Comencini, sembra di vederla ancora adesso mentre, in tenuta da hostess, scende la scalinata di via Licinio Calvo e va incontro ai suoi uomini con lo sguardo dell’inganno che custodisce il perdono che si deve all’impertinenza delle ragazze: Roma, il cielo della Balduina, le sue palazzine, l’età dell’oro edilizia di un tempo felice residenziale, tra mangiadischi e il sorriso che incanta, la pace della commedia all’italiana, su tutto lei, la Spaak. Addio, Catherine.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate