Le elezioni e le liste elettorali
“C’è astensione perché i partiti sono diventati oligarchie: ai cittadini viene imposto tutto”, intervista a Sabino Cassese
È una intervista a tutto campo quella concessa a Il Riformista dal professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’ Institut d’Etudes Politiques di Parigi.
Dal presidenzialismo senza aggettivi a ricette economiche miracolistiche che fanno storcere il naso dalle parti di Bruxelles (Commissione europea) e Francoforte (Bce). È questo il modo giusto per “parlare di programmi”?
I programmi dei partiti sembrano la fusione di due componenti. Da un lato, la sommatoria di progetti di legge che non sono andati in porto. Dall’altro, elenchi di “desiderata” che non hanno trovato realizzazione. Certamente non sono il frutto del lavoro interno delle forze politiche, delle istanze della base, delle discussioni a livello provinciale e regionale, delle decisioni dei congressi. Questo perché la vita interna dei partiti è ormai asfittica. Sarebbe molto interessante fare un bilancio dei costi e dei benefici di ciascuno dei programmi, mettendoli a raffronto, ma ho anche timore che possa essere tempo perso perché sembrano adempimenti burocratici, per non dare l’impressione che la politica sia solamente lotta di potere per poltrone.
Hanno rotto il “patto” che li ha legati per qualche giorno, ma continuano a intestarsi, Calenda e Letta: l’”Agenda Draghi”. Siamo all’ennesimo paradosso della politica italiana?
La politica è fatta anche di retorica. Non stupisce che ci si voglia impadronire dei risultati dell’azione di un governo che ha complessivamente fatto bene, anche se l’agenda è stata dettata in parte dalle necessità, in parte dalla ricerca di equilibri tra istanze diverse delle varie componenti.
Su Il Foglio, lei ha tratteggiato con grande efficacia “dialogica” il bilancio della transizione. Ma “transizione” verso cosa?
Vi sono più transizioni. C’è quella verso un regime parlamentare diverso, al quale è stato sottratto un terzo dei membri delle camere. C’è la transizione verso un sistema politico a trazione di destra, quale non c’era mai stato in Italia, negli ultimi 74 anni. C’è la transizione verso uno dei tanti sistemi presidenziali sperimentati nel mondo (visto che si parla tanto di presidenzialismo ma molto poco di quale tipo di presidenzialismo).
La formazione delle liste elettorali lascia sempre dietro di sé strascichi velenosi. Stavolta, però, sembra che si sia ecceduto. Si è detto e scritto, guardando in particolare a ciò che è avvenuto nel Partito democratico e sul fronte opposto in Forza Italia, di vendette postume, di notte dei lunghi coltelli, di rivolta degli esclusi e via drammatizzando. È un eccesso giornalistico o c’è di più?
Il modo in cui si sono formate le liste è un’ulteriore dimostrazione del carattere oligarchico del nostro sistema politico. Scarsa democraticità dei partiti, debolissimo radicamento sociale, verticalizzazione del potere, concentrato nelle mani dei segretari, imposizione ai votanti non solo di liste nelle quali non si può scegliere, ma anche di candidati con deboli relazioni con i collegi, possibilità di presentare la propria candidatura in più collegi, dando così la possibilità di scelte individuali dei vincitori, perché la sorte dei numeri due dipenderà dalle scelte fatte dai numeri uno.
Si dice che per misurare lo stato di salute di un Paese, bisognerebbe visitare un ospedale o un carcere, e, c’è chi aggiunge, anche una scuola. Salute, giustizia, istruzione: non le sembrano temi marginali nel dibattito politico?
Sarebbe interessante ricostruire l’immagine del paese quale si evince dai programmi dei partiti. Da questi sembra che la prima e più importante aspirazione di tutti gli italiani sia quella di pagare meno tasse possibile, mentre, invece, penso che la maggiore aspirazione sia quella di avere buoni servizi pubblici, dalla scuola alla sanità alle carceri, pagati al prezzo giusto.
Sulla giustizia. La riforma Cartabia non è andata a meta. Lei cosa si augura per la prossima legislatura?
Sulla giustizia la ministra Cartabia ha fatto i passi giusti nella direzione giusta. Ora verranno i decreti delegati e si spera che, imboccata la strada giusta, si continui a percorrerla.
Tra i politologi va ancora forte l’idea che si vince se si occupa il “centro”. Ma le elezioni presidenziali americane e quelle francesi non dimostrano il contrario?
Centro, destra, sinistra sono convenzioni. Centrosinistra e centrodestra sono convenzioni di secondo grado. Quello che conta sono l’azione di governo e l’enfasi posta su alcuni temi. Nonostante il revival di nazionalismo e di cosiddetto sovranismo, uno dei temi sui quali si misurano le differenze è proprio quella della politica internazionale ed europea.
Queste elezioni si svolgono mentre in Europa si continua a combattere. Ma la politica estera non dovrebbe essere uno dei pilastri di un Paese che ha rispetto di sé e vuole giocare un ruolo importante in Europa e nella comunità internazionale?
Il tema della guerra è di particolare importanza per due motivi. Il primo: perché questa guerra è la prima che interviene nel teatro europeo dopo la seconda guerra mondiale. Il secondo motivo è più complesso e richiede la lettura di molti documenti di politica internazionale e di almeno tre libri, che sono i seguenti: Giuliano da Empoli, Il mago del Cremlino (Mondadori 2022), Orietta Moscatelli, Putin e putinismo in guerra (Salerno editrice, 2022), Marco Natalizi, Caterina di Russia. Il destino grandioso e tragico della zarina che guardò al mondo (Salerno editrice 2021). La lettura dei documenti, tra cui principale il discorso di Putin all’Onu del 2015, consente di capire quali sono le ragioni dell’invasione russa in Ucraina. Il libro di Natalizi permette di capire quale è il modello intellettuale – culturale da cui muove Putin; quello di Moscatelli consente di capire quali sono le sue mosse presenti; quello di Giuliano da Empoli, straordinario romanzo-saggio, permette di comprendere meglio i contesti dell’attuale situazione russa. In una parola, bisogna capire che si tratta di un atteggiamento maturato per vent’anni, di opposizione di una autocrazia al dilagare delle democrazie. L’attacco all’Ucraina è un attacco a quello che chiamiamo, fin dal grande libro di Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Se i mezzi di comunicazione cercassero di spiegare antefatto, contesto e obiettivi di questa guerra, oltre a darcene una cronaca, forse l’analisi potrebbe essere più completa.
“La politica ha trovato un Dio; la governabilità. Ecco perché è morta”. Così questo giornale ha titolato un articolo dell’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti. “Prese dalle smania di competere per il potere – sostiene Bertinotti – le forze politiche si sono trasformate in gruppi di ceti dirigenti lontani dalla volontà popolare e asserviti agli interessi del sistema; così il cambiamento è divenuto utopia”. Lei come la vede?
“Distingue frequenter” è un motto importante. Proviamo a distinguere. Che i partiti siano diventati oligarchie non c’è dubbio. Che, da tramite tra società e Stato, siano diventati appendici dello Stato, è altrettanto chiaro. Che in questo modo si chiuda il principale circuito di democratizzazione dello Stato è altrettanto chiaro. Che questo sia dovuto alla governabilità, cioè all’esigenza di governo delle comunità nazionali, mi pare, invece, erroneo, perché di governo e di governabilità c’è bisogno: dove, altrimenti, trovano risposta le domande sociali riguardanti i servizi, la scuola, la sanità, la protezione sociale? So che da Marx e dalla sua erronea interpretazione dell’esperienza del “self government” è nata l’idea che una società possa autogestirsi e autoamministrarsi, rendendo quindi superfluo il governo. Ma – come Lenin dovette subito avvedersi – l’idea dell’autogestione è applicabile a dimensioni ristrette, non alle dimensioni nazionali.
Almeno il 40% degli italiani non ha ancora deciso se andrà ai seggi il 25 settembre. Una parte afferma di essere disgustata dalla politica. Professor Cassese, è un dato “fisiologico” delle democrazie occidentali di questi tempi o dietro a quel “disgusto”, soprattutto dei giovani, c’è qualcosa di più?
C’è molto di più, sia sul lato dell’offerta, sia sul lato della domanda. Sul lato dell’offerta, perché i programmi dei partiti sono documenti commissionati, non sono nati da una consultazione della base dei partiti, da un dialogo tra base e vertice, dalla maturazione di orientamenti, ideologie, obiettivi. Sul lato della domanda, perché l’elezione comporta scelta. Quale è l’ambito delle scelte che viene lasciato agli elettori? Possono solo scegliere partiti e coalizioni. Le liste sono bloccate. L’opzione per l’uninominale anch’essa bloccata. Non è possibile il voto disgiunto. I candidati possono presentarsi in più collegi e quindi possono optare, per cui gli elettori saranno sorpresi dagli eletti: la scelta la fa il candidato che stabilisce in quale collegio accettare l’elezione, in sostanza mettendosi al di sopra dell’elettorato e operando la scelta ultima. Se l’offerta è artificiosa e la scelta che si chiede all’elettorato è così limitata, ben si comprende che ci possa essere una quota di elettori convinta che il sistema ha una componente oligarchica troppo forte e che quindi non vale neppure la pena di andare a votare. Per fare un esempio comparativo, si pensi al sistema francese, in cui gli elettori possono fare numerose scelte. Innanzitutto, sono chiamati a eleggere sia l’assemblea nazionale sia il presidente. In secondo luogo, per il presidente votano due volte, prima per il candidato preferito, poi, al ballottaggio, per quello meno distante dalle proprie posizioni. Insomma, l’elettorato francese ha tre scelte, mentre quello italiano ne ho una soltanto, lungo un canale obbligato. Sistemi elettorali e formule elettorali andrebbero valutati secondo i due criteri indicati dalla Corte costituzionale, della rappresentatività e della governabilità.
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