Fu assassinato nel 2015 a 21 anni mentre lavorava
“Celebrate mio figlio, non i boss che lo uccisero”: la rabbia del padre di Luigi Galletta

Sono ormai sei anni che Luigi Galletta non c’è più, morto ammazzato in un raid di cieca e spietata vendetta di camorra, nel pieno della faida tra i Buonerba e i Sibillo nel Centro storico di Napoli. Lui con la malavita non c’entrava nulla: meccanico di 21 anni, incensurato, vittima dei proiettili di una paranza di bambini agli ordini dell’allora boss emergente, Emanuele Sibillo.
La sua unica colpa, essere cugino di Luigi Criscuolo, fedelissimo dei Buonerba, finito nel mirino dei killer dopo il doppio omicidio dello stesso Emanuele Sibillo e di un suo sodale, Luigi D’Apice. “Leggo di murales che raffigurano giovani rapinatori uccisi, esaltazioni sui social di boss ammazzati, e mi chiedo: come mai nessuno pensa a chi è morto indossando una tuta da meccanico?”.
Non si da pace Vincenzo Galletta, padre di Luigi, che in un’intervista al Mattino mostra tutta la sua perplessità verso la sua Napoli che dimentica chi ha vissuto onestamente e discute sull’opportunità – o meno – di ricordare gli esempi negativi.
In zona Decumani c’è ancora una piccola cappella votiva dedicata a Sibillo, meta di un macabro pellegrinaggio. “Mi rivolgo ai media, ma anche alle istituzioni – dice Vincenzo – perché siamo dimenticati da tutti, mentre siamo costretti ad assistere alla celebrazione di questo o quel personaggio sui social o sui muri”. Parla perché ha “un altro figlio da tutelare”, e perché non pensa sia giusto celebrare “personaggi che si sono distinti nel fare rapine, smerciare droga o rappresentare il vertice di clan e organizzazioni criminali”.
A Napoli si discute ancora sulla rimozione di murales che raffigurano giovani rapinatori che hanno perso la vita. “Ho letto e seguito la storia di queste immagini, penso che lo Stato non debba avere nessuna esitazione a rimuovere questi disegni dai muri. È giunta l’ora di mettere in campo tutti gli strumenti utili per impedire certi fenomeni”.
Vorrebbe promuovere esempi positivi, Vincenzo, come quello di suo figlio Luigi, che lavorava 10 ore al giorno, che con la camorra non aveva nulla a che fare, e che è stato prima pestato e tre giorni dopo ucciso per non aver rivelato un’informazione della quale non era in possesso, ossia dove si trovasse suo cugino. “Vorrei che i giovani di Napoli si riconoscessero anche nei sacrifici di chi lavora e conduce una vita onesta”.
Poi un appello alle istituzioni: “È ora di raccontare chi era mio figlio e quali erano i valori per i quali è stato ammazzato. Di recente un’associazione mi ha donato una targhetta commemorativa, li ringrazio, mentre l’assessore Clemente si è impegnata a seguire la pratica in vista di un risarcimento. So che i tempi sono lunghi, ma questa è la mia sesta Pasqua senza Luigi”.
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