“Onorevoli colleghi…”. Dai suoi compagni Giacomo Matteotti è chiamato “Tempesta”, ma non ama quel soprannome. Non si sente un agitatore, anzi ritiene che dovrebbero essere agitati gli animi di tutti gli italiani, o meglio di tutti i democratici e i riformisti del mondo.
A cento anni esatti dal 30 maggio 1924, giorno del discorso che gli costò la vita, torna sul suo scranno di deputato. Prodigi dell’intelligenza artificiale, o forse prodigi degli spiriti eccelsi. Oggi, 30 maggio 2024, Matteotti non è solo un ologramma.

Se Matteotti potesse parlare

La sua voce vibra proprio come allora: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questa Camera dei deputati si parla in continuazione di fascismo e antifascismo. Ma il suono delle vostre parole è falso e imbevuto di calcoli. Da una parte evocate un fascismo che non c’è per coprire il vuoto di idee che non volete cercare. Dall’altra, rinunciate a dirvi antifascisti per timore di scontentare elettori che non volete perdere. Non capite che tutto questo è indecoroso? (rumori a sinistra e a destra…). Non vedete che attorno al piccolo recinto della vostra democrazia, che è anche mia, di Turati e di Gobetti, di Pertini e di Sturzo, appena fuori dall’orticello europeo che sognarono Spinelli e Colorni dilaga il fascismo vero? È un fascismo che si fa chiamare Patria, si fa chiamare Popolo, si fa chiamare Dio. Ma è persino peggio di quello che denunciai 100 anni fa, fatto di fanatici che affondavano il coltello nel burro della viltà borghese, monarchica ed ecclesiastica. Il fascismo di oggi vi assedia senza che neppure ve ne accorgiate. Andate in piazza giustamente contro le stragi di inermi palestinesi, ma non vedete neppure che il regime che li governa li manda al macello da sempre e ogni giorno. Non spendete un cartello per i georgiani, che nelle loro piazze chiedono Europa e stanno per finire sotto il tacco dei russi, né per Taiwan che invece sta per soccombere ai cinesi. All’Ucraina date armi ma non un alito di solidarietà, non la sentite come la Spagna degli anni ’30, dove i democratici persero non una guerra civile ma la democrazia europea. Criticate gli americani per gli errori e gli abusi della loro democrazia, e Israele per la sua guerra feroce, ma non vedete dietro l’angolo lo spettro di un Occidente senza Usa e di un Medio Oriente senza Israele”.

Giacomo Matteotti si interrompe. Gli schiamazzi iniziali si sono stemperati in un silenzio irreale. “Teocrazie e Dittature – riprende, con voce appena più forte – cioè violenza di Stato e aggressioni ad altri Paesi. E poi elezioni-farsa, opposizioni zittite, donne segregate, diritti negati agli omosessuali e ad ogni minoranza etnica. Per quale Europa vi accingete a votare fra pochi giorni? Quella che si oppone al Ponte sullo Stretto, alle auto green o al tappo attaccato alla bottiglia? Vi interessa discutere di minuzie e lasciare il dibattito sulla libertà a quella che voi chiamate ZTL? Non vi tocca l’idea di un’Europa unita per la libertà sua e di tutte le genti? Un’Europa che ha come faro indelebile la dignità delle donne e degli uomini?”.

Dalla presidente del Consiglio alla leader dell’opposizione, gli sguardi si sono fatti attenti. Nell’aula di Montecitorio sembra aver fatto ingresso un piccolo pianeta malato di violenza, dove la libertà è stata dimenticata proprio da chi l’ha conquistata con il sangue. La Camera applaude compatta. Per un attimo, quel deputato del Polesine che fu picchiato, stuprato, accoltellato e spezzato per seppellirlo meglio, si concede una smorfia che pare un sorriso.

Sergio Talamo

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