Per chi ha vissuto la seconda metà del Novecento in Italia, il termine “cineforum” evoca una sala buia, piena di fumo di sigarette, spesso improvvisata in un circolo culturale, in una sezione di partito o in un’aula scolastica; un film in bianco e nero, rigorosamente d’autore e infine un dibattito acceso, che spesso superava la durata stessa della proiezione. Era un rito laico, ma anche profondamente segnato da una dimensione quasi liturgica, dove la visione del film era solo l’inizio di un processo di educazione, riflessione e – inevitabilmente militanza.
Nella realtà il cineforum ha radici cattoliche.

Cineforum, la nascita in ambito cattolico

Dopo la Seconda guerra mondiale, in un’Europa da ricostruire, il cinema apparve uno strumento straordinario per raggiungere le masse. Il frate domenicano Felix Morlion fu uno dei primi a comprendere il potenziale del mezzo. Fondò in Belgio un’iniziativa che chiamò “cineforum”, con l’intento di avvicinare la comunità cattolica al linguaggio cinematografico. Questa sua intuizione colpì don Luigi Sturzo, che lo segnalò ai servizi di spionaggio americani. Morlion fu arruolato e inviato in Italia nel 1944 insieme alle truppe alleate, dove iniziò la sua attività di contrasto alle campagne di proselitismo del Partito Comunista, anche attraverso l’uso del cinema come strumento educativo e di propaganda. Ma se il cineforum nacque in ambito cattolico, fu ben presto adottato e rielaborato anche da altre forze culturali e politiche, in primis dal Partito Comunista Italiano.

Cineforum laboratorio di pensiero critico

Negli anni ’50 e ’60, il Pci comprese l’enorme potenziale del cineforum come strumento di diffusione del pensiero marxista e di educazione politica. Il cineforum divenne così un luogo di incontro tra intellettuali e operai, studenti e militanti, in cui si guardavano i film di Eisenstein, De Sica, Rossellini, Godard, Bergman, tutti registi in grado di affrontare le grandi questioni sociali, esistenziali e politiche. In un’Italia ancora largamente priva di veri spazi di confronto, il cineforum rappresentava un laboratorio di pensiero critico. Spesso, però, la discussione si trasformava in un’arena ideologica: si analizzavano i simboli, si interpretavano le scelte registiche alla luce della lotta di classe, si giudicava il valore del film in base al suo grado di “impegno”. Il dibattito post-filmico, diventava dogmatico, noioso, autoreferenziale: una parodia di sé stesso.

Il declino del cineforum con Fantozzi…

Il momento in cui questa tensione tra idealismo e pedanteria venne cristallizzata nell’immaginario collettivo italiano fu, senza dubbio, la scena cult del film “Il secondo tragico Fantozzi” (1976), diretto da Luciano Salce. In questa memorabile sequenza, il ragionier Ugo Fantozzi è costretto, insieme a tutti i suoi colleghi, a partecipare a una proiezione della “Corazzata Potëmkin” di Sergej Ėjzenštejn, film simbolo del cinema sovietico e caposaldo dei cineforum impegnati. Dopo ore di visione estenuante e un dibattito infinto e pretenzioso, Fantozzi sbotta: “per me la corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca” e la sala travolse di applausi il ragionier Filini.

Fu un’esplosione liberatoria, una dissacrazione della sacralità culturale che il cineforum rappresentava. Con una battuta iconica, Paolo Villaggio demoliva decenni di pedagogia culturale e ideologica, segnando la fine di un’epoca. Da allora, “la corazzata Potëmkin” è diventata sinonimo di tutto ciò che il pubblico percepisce come cultura imposta, lontana dai gusti reali delle persone. A partire dagli anni ’80, complice la diffusione della televisione commerciale, l’arrivo delle videocassette e poi del digitale, il cineforum cominciò a declinare. Le nuove generazioni, cresciute con la logica dell’intrattenimento rapido e on demand, si allontanarono da quel modello di fruizione lenta, collettiva e impegnata. Inoltre, con il crollo delle grandi ideologie, venne meno anche la tensione etico-politica che alimentava molti cineforum.

Il cinema smise di essere visto come un’arma rivoluzionaria o redentrice, e tornò a essere, per molti, semplicemente una forma d’arte o d’intrattenimento. Rimase, certo, una nicchia di cineclub, festival e rassegne dedicate ai cinefili, ma il grande sogno pedagogico del cineforum si spense, lentamente e inesorabilmente. Oggi il cineforum sopravvive in forme nuove, più flessibili, le piattaforme di streaming hanno reso accessibili migliaia di titoli, e in rete sono nate comunità virtuali che discutono e analizzano i film con strumenti e linguaggi diversi da quelli dei cineforum del passato. Alcuni spazi, soprattutto nelle grandi città, stanno riscoprendo l’idea del cineforum come momento di aggregazione, in contrasto con la fruizione solitaria e discontinua tipica dell’online. L’importante, oggi come allora, è non perdere di vista il pubblico reale, le sue emozioni, i suoi desideri. E magari evitare il rischio di trasformare ogni film in una “corazzata Potëmkin”.