L’Alleanza diventa “globale”
C’eravamo tanto armati: quale Nato dopo il vertice di Vilnius con l’adesione dell’Ucraina in stallo ed Erdogan protagonista

Il summit di Vilnius si chiude con diversi spunti di riflessione. L’Alleanza atlantica ne esce con un’immagine di compattezza. Ma tra i sorrisi e le righe dei comunicati, il blocco occidentale non riesce a nascondere alcuni punti interrogativi. Lo stallo sull’adesione dell’Ucraina è apparso chiaro. Erano in molti a ritenere improbabile che Kiev potesse sapere quando e come entrare nella Nato. La guerra in corso esclude tempistiche certe e qualsiasi tipo di processo di adesione. Tuttavia, il comunicato sul rispetto delle condizioni e sul necessario accordo tra gli Stati membri è apparso a molti più che freddo. Una rivisitazione di quanto già promesso a Bucarest nel 2008 e che non sembra, al netto degli impegni militari e politici, un messaggio chiaro sulla volontà di avere l’Ucraina all’interno del blocco.
Alcuni osservatori sottolineano che dietro l’apparente distacco del comunicato finale e delle dichiarazioni di Jens Stoltenberg si racchiuda in realtà un impegno concreto e tangibile nei confronti di Kiev certificato dal pieno supporto bellico. La nascita del Consiglio Nato-Ucraina confermerebbe un’appartenenza quasi “di fatto” del Paese invaso. La prima accoglienza delle conclusioni da parte del presidente Volodymyr Zelensky ha tradito però una certa difficoltà ucraina a comprendere le posizioni atlantiche. E l’impressione è che nella pur rinnovata solidarietà verso Kiev trapelino perplessità sul futuro del conflitto e sulle garanzie dell’ampliamento: dubbi che al momento agitano anche il governo ucraino.
Le perplessità non riguardano invece il confronto con la Russia, che anzi viene ulteriormente testimoniato da un maggiore impegno della Nato nella prontezza delle proprie forze ma anche dalla (forse certa) adesione della Svezia. L’Alleanza, per quanto riguarda Mosca, sembra essere proiettata verso una sorta di ritorno alle origini. Un blocco che si riafferma come alleanza difensiva in contrapposizione alle visioni del Cremlino e che sancisce un rinnovato interesse per l’Europa in chiave di contenimento russo e saldamente ancorata alle linee strategiche di Washington. E non di altri attori (a partire dai baltici).
Tutto questo rientra nelle linee programmatiche già delineate nel precedente vertice di Madrid, quando il concetto strategico formulato dalla Nato ha ribadito la visione della Russia come “minaccia” diretta per il sistema atlantico e in particolare l’Europa. Tuttavia, non mancano dubbi legati al fatto che questa proiezione verso est da parte della Nato, certamente giustificata dall’invasione russa dell’Ucraina, rischi di essere un messaggio di disattenzione verso il fronte sud: quello su cui invece ha puntato in particolare il governo italiano e che è stato puntualizzato anche dal premier spagnolo Pedro Sanchez.
Dal vertice di Vilnius, tuttavia, a parte le tradizionali conferme sulla necessaria stabilità dell’area mediterranea, non sono arrivati segnali di un rinnovato interesse verso regioni caotiche e foriere di grandi sfide geostrategiche come possono essere quella del Sahel, quella nordafricana o anche il Medio Oriente. E anche il fatto che Stoltenberg, prima del summit, abbia annunciato la costruzione di nuove “macro-regioni” in cui Mediterraneo e Mar Nero sono unite indistintamente, sembra evocare una mentalità eccessivamente vaga sui rischi che derivano dalle grandi crisi del sud del mondo. E in cui certamente un ruolo di primo piano continuerà ad averlo il fronte russo.
Sul fronte meridionale dell’Alleanza, l’unico a poter essere ben contento della gestione di questo summit è il suo protagonista assoluto: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Una volta promesso di inviare al parlamento la richiesta di ratificare l’adesione della Svezia (annuncio che potrebbe anche non tradursi in un passaggio rapido), il Sultano ha discusso con tutti i principali leader accorsi nella capitale lituana, focalizzando su di sé non solo l’attenzione mediatica ma anche quella dei suoi colleghi. Per molti, Ankara ha sancito quella che è apparsa come una “svolta occidentale”, e che di fatto era stata preannunciata con quella mossa di liberare alcuni uomini del Battaglione Azov durante la visita di Zelensky in Turchia. Ma al netto di interpretazioni spesso fin troppo immediate delle mosse turche, quello che appare certo è che da Vilnius, a uscire come elemento-chiave del fianco meridionale (e non solo) della Nato è proprio il suo alleato più discusso e meno incardinato nei canoni occidentali, e cioè la Turchia.
Infine, dal summit lituano giunge anche un’indicazione del desiderio del blocco di spostare il proprio obiettivo non solo sull’oriente più vicino, ma anche su quello estremo. Anche in questo caso si tratta di una tendenza già avviata nel precedente incontro madrileno, quando per la prima volta in un documento strategico fu posto nero su bianco il tema del rapporto con la Cina. Ma da Vilnius, il segnale che è stato lanciato è quello dell’ambizione di una Nato “globale”.
Messaggio espresso in modo cristallino anche dallo stesso Stoltenberg, quando ha affermato che “la sicurezza non è regionale, ma globale” esortando a un’unità di intenti anche con le potenze alleate nell’Indo-Pacifico (e non a caso invitate al vertice). Un cambio di passo di non poco conto che ha già trovato freni interni all’Alleanza. Nelle scorse settimane, i media avevano parlato dei dubbi di Emmanuel Macron sull’eventuale proiezione asiatica della Nato. Una svolta globale che la Cina già legge come un campanello d’allarme.
© Riproduzione riservata