Il regime iraniano sembra stia approfittando della distrazione dell’opinione pubblica mondiale la cui attenzione è ora rivolta alla guerra di Israele contro Hamas e pensa che questo sia il momento migliore per regolare i conti con tutti i suoi oppositori. Per questo si assiste ad esecuzioni di massa nelle sue prigioni. Alle prime luci dell’alba di martedì 12 dicembre è stato impiccato Sajjad Haqizadeh, un prigioniero di 37 anni di etnia Lur, originario di Kohdasht, nell’Iran occidentale, condannato a morte per accuse legate alla droga. Hamidreza Azari era un ragazzo iraniano di 17 anni, è stato giustiziato lo scorso mese assieme a Milad Zohrevand, un giovane di 22 anni.

I due ragazzi sono stati impiccati proprio nel giorno in cui la Repubblica islamica dell’Iran presiedeva il Social Forum 2023 del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Proprio in quelle ore i corpi di Azari e Zohrevand penzolavano orribilmente, all’alba, da una gru, nel cortile della prigione di Sabzevar, nella provincia del Khorasan, mentre echeggiava il grido di Allahu Akbar nell’ora della prima preghiera del mattino. Impiccati senza prove, dopo un processo farsa. Stessa sorte era toccata ad altri otto prigionieri, sette dei quali erano curdi, impiccati nel carcere Ghezel Hesar di Karaj mentre “i tagliagole con turbante” di Tehran venivano scandalosamente accolti a Dubai nel vertice Onu sul clima. Mercoledì è stato giustiziato Davoud Abdollahi assieme a sei attivisti curdi-sunniti, accusati di aver ucciso nel 2009 un potente religioso sunnita di nome Abdul Rahim Tina. Impiccati dopo essere stati costretti a confessioni estorte sotto torture mentali e fisiche estreme.

Iran, non solo impiccagioni: sparizioni di attivisti di minoranze

Dal giorno della barbara uccisione della giovane curda di Saqqez, Jina Emini (Mahsa Amini), per mano della polizia morale, sono state circa 750 le impiccagioni eseguite in Iran, il numero più alto dal 2015, quando ne registrò 972. La pena di morte è usata come strumento per intimidire e reprimere qualsiasi forma di dissenso. Solo nel mese di novembre, secondo l’Iran News Update, in Iran sono state giustiziate almeno 176 persone. Al numero degli impiccati si somma quello delle centinaia di sparizioni, prevalentemente di attivisti e intellettuali di minoranze curde, beluci e baha’i. Si teme anche per la vita di Samira Sabzianfard, 29 anni, di Khorramabad, arrestata dieci anni fa con l’accusa di aver ucciso suo marito. Era stata una “sposa bambina” e poi è stata condannata a morte per l’omicidio del marito. Ora è in isolamento nel braccio della morte nella prigione di Qarchak e la sua impiccagione era prevista per mercoledì 13 dicembre, ma le autorità iraniane hanno rinviato l’esecuzione di una settimana.

Impiccagioni in Iran, la storia di Samira, la sposa bambina che ha ucciso il marito

I suoi due figli le hanno fatto visita, per la prima volta dalla sua carcerazione, per darle l’addio. Samira aveva 15 anni quando è stata costretta a sposarsi. Nel 2013, dopo 4 anni di matrimonio forzato, ha ucciso suo marito perché non era più disposta a sopportare le terribili violenze quotidiane. Samira ora ha perso la capacità di parlare ed è costretta a spostarsi sulla sedia a rotelle. La Repubblica islamica è il più terribile boia di donne al mondo, avendone impiccate almeno 16 nel 2022 e 17 dall’inizio del 2023. Ed è anche uno dei pochi paesi al mondo che condanna a morte i minori, almeno 68 dal 2010. Tra le migliaia di vittime, impiccate, arrestate o torturate durante la rivoluzione del movimento dei giovani, “Donna, Vita, Libertà”, si contano almeno 192 minori, tutti accusati di “guerra contro Dio” e di “corruzione sulla terra”.

Impiccagioni Iran, il bacio del boia alla corda prima dell’esecuzione

Le esecuzioni avvengono sempre prima che sorga il sole. Il condannato in carcere sale su una sedia. Il boia mette la corda intorno al collo della vittima e la stringe forte. Poi il boia bacia la corda prima di tirare giù la sedia. Spesso le esecuzioni avvengono in una pubblica piazza. Le autorità organizzano vere e proprie “cerimonie di impiccagioni” e invitano la popolazione ad assistere al macabro spettacolo. Si vuole mostrare alla cittadinanza l’orribile fine riservata a chi commette un crimine e a chi si oppone al regime islamico. Al grido di Allahu Akbar, l’impiccato penzola con la corda al collo sospeso in aria da una gru e lotta contro la morte, per pochi secondi, ma è una eternità per il malcapitato che cerca invano di liberare le sue mani legate dietro la schiena per poter allentare la corda. Lotta per pochissimi secondi, sospeso nel vuoto, ma, improvvisamente, il suo corpo si scuote fortemente: è soffocato e una schiuma bianca fuoriesce dalla sua bocca ed espelle le sue urine.