Il discorso di ieri di Sergio Mattarella al Forum Ambrosetti di Cernobbio riafferma un afflato europeista che non lascia margine ai conati del governo in carica di sottrarsi agli impegni comunitari. Il presidente della Repubblica chiarisce che l’appartenenza all’Unione non può essere malintesa come “un vincolo, talora soffocante, per coloro che vi hanno aderito”, bensì apprezzata “come un’opportunità, forse l’unica per il nostro continente, collocato in un mondo – i Brics insegnano – fatto sempre più di giganti”.
Mattarella provoca: “quale giustificazione potrebbero trovare i decisori a sostegno della diserzione da un ruolo incisivo dei Paesi europei, nel loro insieme, nel contesto internazionale?”. La bacchettata del Quirinale nei confronti di Palazzo Chigi è esplicita. Mattarella ammonisce che le scelte assunte a Bruxelles non sono il frutto di regole “imposte da oscuri poteri”, ma sono “concordate in sede comunitaria tra i governi nazionali, la Commissione, il Parlamento Europeo”. Il tono è ovattato ma il richiamo è evidente: non si può andare in Europa a trattare e prendere decisioni comuni e poi tornare a casa per dire, come ha fatto Giorgetti, che il Pnrr “sembra un piano quinquennale sovietico”, o, come ha fatto Meloni, per negare il voto di ratifica del Mes impedendo agli altri partner europei di usarlo dopo averlo concordato, oppure, ancora, per contestare quel patto di stabilità che è il frutto di mesi di negoziati.
Ma il grande tema che forse per la prima volta fa capolino dei discorsi del presidente è la questione del debito pubblico riconosciuta come “ineludibile”. Sul punto, con una punta di orgoglio nazionale, il capo dello Stato sottolinea la “credibilità internazionale” acquisita dall’Italia. In primo luogo, ricordando che, l’anno scorso, a causa del diverso tasso di interesse, l’Italia “ha pagato in interessi poco meno di quanto ne abbiano pagati insieme Germania e Francia” che, insieme, valgono il doppio di quello italiano. Il richiamo è forse un po’ troppo generico considerando la diversità delle situazioni tra i tre paesi e, soprattutto, per il fatto che il debito pubblico italiano è molto più risalente nel tempo. L’esempio serve comunque a Mattarella per ricordare che, tutto sommato, l’Italia è un pagatore affidabile e può vantare “una storia trentennale di avanzi primari annui, con un debito pubblico cresciuto in larga misura, dal 1992, principalmente a causa proprio degli interessi”.
In effetti, negli ultimi 25 anni, tra alti e bassi, l’Italia ha fatto il più ampio avanzo primario di tutta Europa fino al crollo avvenuto con il governo gialloverde Lega-M5s e la crisi pandemica. E a questo, precisa Mattarella, bisogna aggiungere la ricchezza finanziaria delle famiglie: un dato del tutto insufficiente per rassicurare i mercati – una megapatrimoniale sui conti dei contribuenti per coprire il debito pubblico è fuori della realtà, immaginabile solo in caso di deriva socialpopulista ‘venezuelana’ – ma che rivela una certa solidità dei fondamentali dell’economia italiana rispetto alla tenuta dei conti pubblici. Ancora una volta un messaggio al governo affinché ricominci a fare sul serio piuttosto che confidare sulla scoperta di improbabili tesoretti. Allo stesso tempo, Mattarella è certamente consapevole che i sacrifici imposti ai cittadini italiani con politiche di bilancio restrittive sono proprio la causa dell’incalzante populismo dell’ultimo decennio. Fare avanzo primario ha significato, tra l’altro, per le famiglie italiane, ricevere meno servizi rispetto alle imposte pagate: da qui i numerosi focolai di rabbia che hanno alimentato l’onda protestataria e antiliberale.
La strada maestra per uscire dall’impasse resta quella di una più forte integrazione europea. L’invito di Mattarella “a completare l’edificio finanziario europeo in maniera più rassicurante per tutti”, contando anche sull’apporto degli studi realizzati da Enrico Letta e Mario Draghi, è una spinta a trasformare un esperimento di debito comune europeo come il Next Generation Eu nell’embrione di un bilancio comune europeo, volto a realizzare investimenti su politiche pubbliche specifiche in grado di garantire la crescita. Sappiamo che sul punto non sono d’accordo i paesi frugali – tra questi anche la Germania che, però, colpita anch’essa da una crisi economica, non è più in grado di fare affidamento sulla sua tradizionale potenza. Ma l’orizzonte è praticamente obbligato per contare ancora sulla scena internazionale. E l’Italia ha il dovere di insistere in questa direzione, purché si mostri capace di far bene i compiti a casa: diminuire il debito, stimolare la crescita.