Chiedere che gli ostaggi siano liberati è una cosa. Chiedere che siano liberati come condizione del cessate il fuoco è un’altra cosa. Una cosa completamente diversa. Ed è quest’altra cosa completamente diversa che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – per l’ennesima volta – ha deciso di non fare l’altro giorno, mettendo ai voti una risoluzione che chiedeva l’incondizionato cessate il fuoco a Gaza.

Obblighi incondizionati

L’intrinseca ingiustizia di questa richiesta prioritaria – e cioè che il fuoco cessi ”a prescindere” – non è riparata da nessuna raccomandazione supplementare, nemmeno da quella rivolta all’incondizionata liberazione degli ostaggi. Non è un gioco di parole. Se io chiedo che il fuoco cessi incondizionatamente e poi, anche, che gli ostaggi siano rilasciati incondizionatamente, faccio il contrario di ciò che fingo di fare: non voglio la fine della crisi, ma metto in condizione di reciprocità quei due obblighi, che dunque non sono più incondizionati. E, nel far questo, parteggio per l’idea che la presa e il trattenimento degli ostaggi appartengano con pari (in)degnità ai fatti esecrabili del conflitto in corso. Nel far questo, molto semplicemente, retribuisco la pratica terrorista di Hamas: il soggetto che, non casualmente, non è nominato neppure una volta e nemmeno per sbaglio nella risoluzione che per sei volte fa il nome di Israele.

Che, da più di un anno a questa parte, le Nazioni Unite si siano astenute rigorosamente dal fare ciò che era necessario, e cioè pressione su Hamas dando il segno che la cosiddetta comunità internazionale reclama innanzitutto, e appunto davvero incondizionatamente, la liberazione degli ostaggi, denuncia in modo chiarissimo l’accreditamento di cui ha goduto la pratica terrorista dei macellai del 7 ottobre. Alla cosiddetta comunità internazionale non ripugnava abbastanza che i miliziani e i civili palestinesi che avevano partecipato a quella deportazione di israeliani continuassero a tenerli sequestrati, e a torturarli, e ad assassinarne un po’ alla volta.

Nessuna richiesta

La coscienza della comunità internazionale non era abbastanza molestata per dire agli aguzzini che non ci sarebbe stato nessun cessate il fuoco, e nessuna richiesta a Israele di cessare il fuoco, se gli ostaggi non fossero stati liberati in salute e immediatamente. L’immagine di un bambino di otto mesi – otto mesi, perdio – nelle mani di quelle belve non era abbastanza forte perché la cosiddetta comunità internazionale facesse loro capire che, se già il fatto averlo rapito li condannava, il fatto di non liberarlo avrebbe impedito qualsiasi soluzione concordata. Erano materia sacrificabile, gli ostaggi, per la cosiddetta comunità internazionale. Per 14 mesi, la pace richiesta a chi – Israele – aveva subito la guerra, valeva bene il sacrificio degli ostaggi israeliani.