Giuseppe Cascini dopo quanto emerso dalle sue chat con Luca Palamara può rimanere al Consiglio superiore della magistratura? E i vertici del Csm, ad iniziare dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, perché non dicono una parola a tal riguardo? A porsi questi interrogativi è stato ieri dalle colonne del Fatto Quotidiano, giornale certamente non ostile nei confronti dei pm, l’ex presidente di sezione della Corte di Cassazione Antonio Esposito.

L’alto magistrato, da tempo editorialista sul giornale diretto da Marco Travaglio, è noto al grande pubblico per aver condannato Silvio Berlusconi nel processo sui diritti Mediaset. Condanna che determinò la cacciata dell’ex premier dal Parlamento e per ciò solo “al di sopra di ogni sospetto”. Inoltre Esposito ha anche querelato Palamara dopo la pubblicazione del libro Il Sistema e quindi non è certamente un suo aficionados. Riprendendo quanto scritto dal Riformista qualche giorno addietro, Esposito ha raccontato i rapporti intrattenuti fra Cascini, uno dei capi storici di Magistratura democratica, e l’ex zar delle nomine. Cascini, componente della sezione disciplinare del Csm, era stato ricusato prima di Natale da Cosimo Ferri, sotto procedimento per aver partecipato alla cena dell’hotel Champagne a maggio del 2019 quando si discusse della nomina del nuovo procuratore di Roma.

Ferri, già leader di Magistratura indipendente, la corrente di destra delle toghe, aveva motivato la ricusazione facendo riferimento a una mail inviata da Cascini il 28 febbraio 2015 alla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati e all’allora segretario di Mi. In questa mail si stigmatizzava il comportamento di Ferri che, a giudizio di Cascini, era entrato in quel periodo nella compagine governativa quale sottosegretario per interesse personale. Oltre a questa mail, Ferri aveva poi prodotto una dichiarazione rilasciata da Palamara al gup di Perugia Piercarlo Frabotta relativa a un incontro avuto con Cascini nel corso del quale quest’ultimo gli avrebbe perentoriamente detto: ”Non frequentare Ferri, non te lo dico più!”. Cascini, interrogato dal collegio che doveva decidere sulla sua ricusazione, si era difeso dicendo che era stato Palamara a chiedergli un incontro per parlare dell’elezione del vice presidente del Csm.

Le chat, però, smentivano questa ricostruzione, essendo stato lui a chiedergli l’incontro, peraltro avvenuto dopo l’elezione di David Ermini a vice presidente a settembre 2018. «C’è discordanza fra quanto detto da Cascini e le chat», aveva provato a replicare Ferri, presente all’interrogatorio. «È un fatto grave perché ha detto cose diverse», aveva poi aggiunto Ferri prima che gli venisse chiuso il microfono in faccia. Sulla testimonianza non corrispondente a verità di Cascini, entra quindi in gioco Salvi, anch’egli storico esponente di Md. Salvi, infatti, è il titolare dell’azione disciplinare nei confronti di tutti i magistrati italiani. Azione disciplinare esercitata in regime di monopolio in quanto la ministra della Giustizia Marta Cartabia, a cui la Costituzione assegna tale potestà, vi ha rinunciato per evitare “sovrapposizioni” con la Procura generale. In una conferenza stampa nell’aula magna della Cassazione a giugno 2020, indetta per annunciare le iniziative disciplinari conseguenti lo scoppio del Palamaragate, Salvi aveva tranquillizzato i presenti rassicurandoli che non stava di certo, testualmente, “ciurlando nel manico”.

«Proprio a questo fine la Procura generale ha elaborato dei criteri di valutazione del materiale (chat, ndr) che ci è stato sottoposto. Questi criteri sono stati elaborati dal gruppo di lavoro che è composto dai magistrati che mi sono a fianco, cioè il procuratore aggiunto Luigi Salvato che è il responsabile del settore disciplinare e dall’avvocato generale  Piero Gaeta che è responsabile del settore pre-disciplinare, nel settore dove viene fatta una valutazione del materiale informativo che arriva per cui decidere se aprire la fase disciplinare o archiviare la procedura». E questo pur essendo Salvi, Salvato e Gaeta coinvolti nelle chat di Palamara per avergli richiesto, direttamente o indirettamente di essere nominati ad incarichi direttivi. Il sospetto, legittimo, è che Salvi non apra un fascicolo su Cascini perché, a parte la comune appartenenza correntizia sarebbe costretto ad aprilo su se stesso. L’anno scorso, per questo aspetto, un gruppo di magistrati appartenenti ad Articolo 101, il gruppo “anti correnti” aveva chiesto ai diretti interessati di chiarire i rapporti con Palamara emersi dalle chat e riportati nel suo libro scritto con il direttore di Libero Alessandro Sallusti.

Si tratta di fatti che, ove fossero veri, gettano un’ombra inquietante sia sui loro asseriti protagonisti che sulla sorprendente circolare dello stesso Procuratore generale che “assolve” per principio chi raccomanda se stesso per incarichi pubblici e chi quella raccomandazione accetta”, ricordavano le toghe. «Appare evidente – proseguiva l’appello – che la gravità delle accuse rivolte pubblicamente e ora note a tutti e la rilevanza dei ruoli ricoperti nell’assetto costituzionale da Salvi e Cascini impongono loro di smentire in maniera convincente i fatti o dimettersi dalle cariche ricoperte». «Confidiamo che Salvi e Cascini sapranno scegliere una delle due alternative. Lo devono alla Repubblica italiana alla quale hanno prestato, come noi, giuramento di fedeltà». Da allora sono ancora in attesa di risposta.