In questo clima caldo e mortifero pensare alle elezioni può portare al collasso peggio che uscire nelle ore più calde. Ma io, inguaribile romantico, ogni notte faccio sempre lo stesso sogno: una piazza come ce ne sono a migliaia in Italia. Vuota, silente, illuminata dal sole delle due del pomeriggio, con un palco modesto al centro, con due manifesti attaccati male ai lati. Il candidato arriva, sale i pochi gradini e resta lì, ad asciugarsi il sudore, in piedi per un’ora.

Poi, d’improvviso, alle quindici e un minuto, da un altoparlante piazzato di fronte al palco arriva una domanda secca, diretta, precisa, non cazzimmosa ma banale, prevedibile in un paese normale dove ogni tanto si fa qualcosa: «Che cosa hai fatto in questi anni per quelli che ti dovrebbero votare?». Cala il buio, torna il silenzio. Purtroppo mi sveglio sempre senza sentire la risposta. Mi sono convinto che non è colpa di quello che mangio a cena, ma è proprio che risposta non c’è. Sarebbe bello questa domanda cominciasse a rincorrere chiunque valutasse l’idea di candidarsi o, peggio ancora, di ricandidarsi. Se a porla non fossero contestatori o chi prova antipatia per questo o per quello, ma i sostenitori, i simpatizzanti, coloro che hanno preso la tessera di quel determinato partito perché ci credono.

Si costringerebbe una classe dirigente intera a dare risposte, che poi è quello che dovrebbe fare la politica, ma mi sa che è l’ennesima romanticheria che mi balena per la testa dopo aver preso troppo sole. E allora smetto di pensarci, mi godo il calciomercato e pure quello della politica, con tanti cambi di casacca, riposizionamenti tattici, amici che diventano nemici e nemici che diventano alleati per battere questo o quello. A proposito: com’è che le destre devono spaventare solo gli elettori, ma quando ci state insieme al governo non sembrano farvi così paura? Senza programmi, senza discutere di come si pensa di andare ad incidere sulla vita dei votanti. Si contano i seggi sicuri, a questo giro si rischia un’ecatombe. Il campo largo progressista è diventato un camposanto. Dall’altra parte, Berlusconi nei confronti dei suoi ex fedelissimi è stato perentorio: «riposino in pace». Amen!

Quello che ci attende nelle prossime settimane non è l’inizio dell’ennesima campagna elettorale fatta mentre i cittadini sono in vacanza (poi si lamentano dell’astensionismo!), ma lo stanco ripetersi di una serie di liturgie buttate lì senza nemmeno crederci tanto. Ci saranno quelli che: “bisogna valorizzare il territorio” per poi calare candidati dall’alto nel seggio sicuro. Ci sarà chi sui social urlerà: “diamo spazio alle competenze” salvo poi candidare la fidanzata, l’autista o il cane. Ci saranno quelli che: “i giovani sono il futuro” e lo diranno presentando liste la cui età media sarà di 65 anni. E intanto, sui territori si spegne l’entusiasmo, i giovani invecchiano e chi tiene delle competenze si tiene ben lontano da questo gioco così vuoto e così inutile per l’Italia. Perché sì, lo sappiamo già.

Le alleanze mutano come le stagioni, ma i candidati no, quelli sono come i giorni della settimana: sono sempre gli stessi. Chi non verrà eletto diventerà dirigente/assessore fino a quando potrà ripresentarsi alla prossima tornata e così all’infinito, in un loop che da troppi anni devasta questo paese tanto quanto il riscaldamento globale. E davanti a un’Italia che non cambia mai, la domanda non è più “per chi” votare, ma “perché dovrei”?