L’isolamento estremo di una “tortura democratica”
Che cos’è e come funziona il 41 bis, le regole del carcere duro a cui è sottoposto Alfredo Cospito
Negli ultimi giorni la vicenda legata all’anarchico Alfredo Cospito ha riaperto il dibattito su uno dei più controversi regimi carcerari, il 41 bis. Un articolo dell’ordinamento penitenziario che consiste in una serie di limitazioni imposte ai detenuti che definiscono quello che è comunemente chiamato il “carcere duro”. Questa formula esiste dal 1992, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio a Palermo, per limitare il più possibile la frequenza dei contatti con l’esterno degli esponenti di vertice delle organizzazioni criminali ed evitare che potessero continuare a comunicare e impartire ordini ai clan.
In Italia ci sono 749 detenuti al 41 bis, di cui 13 donne, secondo un rapporto di Antigone del 2021. La maggior parte dei detenuti in regime di 41-bis sono nella casa circondariale dell’Aquila seguita da quella di Opera (Milano), Sassari, Spoleto, Novara, Cuneo, Parma, Tolmezzo (Udine), Roma-Rebibbia, Viterbo, Terni, Nuoro. Come si vive al 41 bis? “Provate voi a vivere per 21 ore al giorno in un bagno”, disse Antonio Iovine, ex capo del clan camorristico dei casalesi oggi collaboratore di giustizia, un tempo detenuto in regime di 41-bis, ai membri della commissione del Senato in visita al carcere di Badu ’e Carros.
Di norma il principio è quello di garantire l’isolamento più assoluto del detenuto. I detenuti al 41 bis durante la giornata non fanno sostanzialmente nulla. Carmelo Musumeci, che ha trascorso in carcere 25 anni di cui cinque in regime di 41-bis, dice al Post: “Definisco quel tipo di detenzione una ‘tortura democratica’. Il 41-bis annienta le persone. Io lo vissi nel carcere dell’Asinara, in Sardegna, negli anni Novanta, poco dopo la sua introduzione. Le condizioni igienico-sanitarie erano terribili: dalla turca uscivano i topi. Per impedire ai ratti di entrare nella cella usavo una bottiglia che chiudeva il buco”.
Ci sono regole generali e altre che variano da istituto a istituto. La posta in entrata e in uscita viene controllata e sottoposta a censura, non è ammesso l’invio di libri dall’esterno. In cella possono essercene non più di tre forniti e reperiti direttamente in carcere o preventivamente autorizzati. Non sono ammesse riviste nè il detenuto può scrivere per giornali. All’Aquila non sono ammessi abiti o tessuti trapuntati che possano nascondere oggetti. I detenuti al 41 bis sono condannati al silenzio e alla solitudine. Trascorrono nelle loro celle quasi tutte le ore della giornata salvo una o due ore al massimo in cui possono socializzare con i pochi detenuti della stessa sezione. Secondo quanto riportato dal Post, alcuni avvocati di detenuti raccontano che i loro assistiti perdono la capacità di dialogare per più di pochi minuti. E questo sarebbe successo anche all’ ex brigatista Nadia Desdemona Lioce. Condannata all’ergastolo per gli omicidi di Marco Biagi e di Massimo D’Antona e dell’agente della polizia ferroviaria Emanuele Petri, è al 41 bis da 20 anni. potendo contare solo su un’ora al mese di colloquio con i familiari e, in caso di bisogno, di massimo di due ore al mese con gli avvocati, la detenuta in un anno solare aveva parlato solo per 15 ore, per cui adesso per lei è impossibile sostenere un colloquio se non di pochi minuti.
I colloqui sono limitati a un’ora al mese e avvengono attraverso un vetro divisorio, salvo la presenza di figli minori di 12 anni. Al colloquio sono ammessi familiari e conviventi, per altre persone serve un permesso speciale concessa solo in casi eccezionali. Il detenuto al 41 bis può fare solo una telefonata al mese di 10 minuti e in sostituzione del colloquio personale. Telefonata che viene sempre registrata. In cella non c’è nulla oltre al letto saldato a terra e il bagno alla turca. Anche gli oggetti che si possono tenere in cella hanno delle limitazioni e devono essere sempre controllati. In alcuni penitenziari ci sono liste in cui viene descritto ciò che è ammesso e ciò che non lo è. Fino al 2018 i detenuti in cella non potevano nemmeno cucinare. Ma una sentenza della corte Costituzionale ha stabilito che il divieto di cuocere cibi non si può fondare sulla necessità di impedire che il condannato continui a mantenere contatti con l’esterno e il gruppo criminale di appartenenza.
Poi ci sono i limiti sulla somma di denaro che un detenuto può avere sul conto. A ogni “nuovo giunto” vengono sequestrati i soldi e messi su un conto all’interno del carcere su cui i familiari potranno versare dei soldi tramite vaglia postale o lasciandoli nella portineria del carcere. Normalmente il detenuto può spendere poco più di 100 euro alla settimana. Per quelli sottoposti a 41-bis non esiste una cifra stabilita (varia a seconda degli istituti), ma è comunque inferiore a quella degli altri carcerati. Per assegnare un detenuto al 41 bis c’è bisogno di due presupposti: l’uno “oggettivo”, cioè la commissione di uno dei delitti “di mafia”, previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, l’altro “soggettivo”. Occorre infatti dimostrare la presenza di “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica ed eversiva”. Negli anni l’elenco di reati per cui si può essere sottoposti al 41-bis si è ampliato. Attualmente comprende terrorismo, mafia, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di persone, acquisto o vendita di schiavi, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, associazione a delinquere per contrabbando di tabacchi, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.
Un regime carcerario durissimo che, come si legge nel XVIII rapporto di Antigone, è anche usato come maggiormente punitivo: “Un regime detentivo che si definisce duro non può non evocare l’idea di un sistema intransigente che mira a ‘far crollare’ (anche sul piano psicofisico) chi vi viene sottoposto, puntando, sempre in forma latente, alla ‘redenzione’, cioè alla collaborazione con la giustizia, principale ‘criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata’. Proprio l’effettiva ‘collaborazione’ fa venir meno l’applicazione di questo regime”.
Alfredo Cospito è il primo anarchico a essere sottoposto a questo regime carcerario. Per lui fu stabilito il 41 bis per il presunto rischio che dal carcere dia ordini agli altri membri della sua organizzazione. La ministra della Giustizia Marta Cartabia giustificò l’applicazione del 41-bis a Cospito con i “numerosi messaggi che, durante lo stato di detenzione, ha inviato a destinatari all’esterno del sistema carcerario”. Si trattava di interventi che Cospito scriveva dal carcere, con il permesso, per pubblicazioni di area anarchica, in cui secondo Cartabia invitava “esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci”. L’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini, era sufficiente attuare un controllo più stretto sulla corrispondenza, o emettere uno specifico provvedimento per quello specifico reato. Inoltre Cospito si riconosce nella Federazione anarchica informale, che, ha spiegato più volte in queste settimane Rossi Albertini, non ha vere strutture gerarchiche organizzate: “È un ossimoro, una contraddizione, pensare che una struttura orizzontale, come è stata ritenuta dagli stessi giudici di Torino, possa avere un capo”.
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