«Quella che va in scena a Napoli è una campagna elettorale modesta: Maresca si è rivelato un “politico improvvisato” e Manfredi evita il confronto con gli altri candidati. Napoli ha bisogno di un sindaco che coinvolga i cittadini e che sia in grado di vincere la sfida del Piano nazionale di ripresa e resilienza». Parola del costituzionalista ed ex senatore Massimo Villone che analizza, con il Riformista, il quadro politico partenopeo.
Partiamo dalla bocciature di quattro liste del centrodestra da parte del Consiglio di Stato: frutto di dilettantismo (soprattutto per quanto riguarda le civiche) o di un problema politico più serio?
«Le liste sono state escluse per problemi di ritardi e carenze nella documentazione: una molteplicità di motivi che però, secondo me, non sono riconducibili a un problema politico o all’ipotesi di un complotto. Sono stato tanti anni in politica e ricordo che la presentazione delle liste è una delle arti praticate nei partiti di un tempo. Esisteva un determinato personale politico che si occupava di questo e conosceva tutti i meandri della legislazione, sapeva per filo e per segno cosa fare, quando farlo e come farlo. Quell’organizzazione, purtroppo, non esiste più. Una lista civica è una lista che presenta fatalmente delle carenze organizzative: non ci si può improvvisare in vista di una campagna elettorale. Era ovvio che succedesse quel che è successo. La politica di oggi è composta per lo più da soggetti politici “improvvisati”, quando invece richiede professionalità».
A proposito di professionalità e inesperienza, possibile che il centrodestra non avesse un candidato “politico” da lanciare nella corsa a Palazzo San Giacomo e si è dovuto aggrappare al civismo?
«L’essere andati a pescare un candidato civico è effetto della destrutturazione dei soggetti politici che non riescono a convergere in un’espressione propria. Una volta, un candidato sindaco non usciva per caso dal cappello del prestigiatore, bensì era il frutto di un cursus honorum. Purtroppo questo non c’è più».
Come giudica, invece, i magistrati che decidono di fare politica?
«Da cittadino non ritengo quella di Catello Maresca una candidatura appropriata. Non credo che una persona, senza dubbio perbene, ma che ha fatto il pm fino all’altro ieri, debba candidarsi. Chi ha esercitato un potere molto consistente come quello del pubblico ministero, in seguito non può lanciarsi in politica. Nello specifico, Maresca ha fatto campagna elettorale mentre era ancora in servizio come pm: formalmente non ha sbagliato, ma qualche dubbio sostanziale sicuramente c’è».
Sempre Maresca ha parlato di regole medievali e minacce alla democrazia, dopo l’esclusione delle sue liste. Cosa ne pensa?
«Non condivido questa idea. Ci sono delle regole e vanno rispettate, far prevalere il “buon senso” e non escludere le liste non avrebbe rispettato la par condicio e avrebbe danneggiato qualcun altro. Non è accettabile, come modo di ragionare, il voler far prevalere la sostanza a discapito della forma. Non regge neanche la teoria che così facendo sia stata minata la democrazia. Se ci dovesse essere l’opinione diffusa che ci sia stato effettivamente un tentativo di mettere nell’angolo Maresca, suppongo che una buona fetta di elettorato gli darebbe il voto solo per questo. Non credo che nella competizione elettorale l’esclusione delle liste abbia un peso decisivo: se la candidatura si impone, si impone; se non lo fa, non dipende dal fatto che quella o quell’altra lista siano venute meno».
Sul versante opposto, invece, c’è Gaetano Manfredi che non accetta confronti con gli avversari: come giudica questo atteggiamento?
«Ha sbagliato a non partecipare al dibattito con gli altri candidati. Alla fine, il messaggio che viene fuori è che chi non c’è ha comunque torto. Non è stata una buona mossa dal punto di vista dell’efficacia politica».
E invece pare che sia stata proprio una strategia politica: sono in vantaggio e non ha senso espormi attraverso un confronto con gli altri candidati…
«È proprio questo il messaggio sbagliato che passa, cioè che chi è in vantaggio ha paura di esporsi e di perdere qualche consenso. Ma le pare un messaggio che può avere successo?».
Assolutamente no. Intanto, però, i sondaggi danno il M5s primo partito con Manfredi sfiora il 50% dei consensi.
«Credo poco ai sondaggi, aspetterei il risultato elettorale. A prescindere da chi vincerà, sono due le questioni principali che il futuro sindaco dovrà affrontare: da un lato, bisogna riguadagnare una buona amministrazione quotidiana e restituire ai napoletani i servizi essenziali. Dall’altro, c’è una questione che non vedo sufficientemente considerata da nessuno dei candidati ed è il ruolo della città nell’attuazione del Pnrr. Il sindaco e la sua maggioranza dovranno dare alla città di Napoli il ruolo di portavoce della Campania e del Sud. È una cosa che mi piacerebbe sentir dire ai candidati e che invece non ho ancora sentito. Fare la campagna elettorale solo per la città oggi non basta e domani non basterà l’amministrazione soltanto della città, perché è un momento storico che richiede un compito ben più alto e complesso».
De Magistris è andato oltre i confini della Campania e si è candidato a presidente della regione Calabria…
«Non condivido la sua scelta. Doveva restare qui e portare a termine il suo mandato. Qualunque sia l’esito in Calabria, quello su Napoli certamente non è stato positivo».
Tra fughe e una campagna elettorale sotto tono, emerge che un 52% di napoletani è indeciso o non voterà. Anche stavolta si rischia un sindaco eletto da una minoranza. Come si combatte l’astensionismo?
«Sì, purtroppo c’è questo rischio. L’astensionismo si combatte dicendo ai napoletani: ci occuperemo di voi e dei vostri bisogni concreti e dando loro un’idea di città. La campagna elettorale oggi è modesta e nessuno dei candidati parla così alla gente».