Il terzo fronte, per Israele, è quello della Cisgiordania. Nascosto rispetto alla Striscia di Gaza. Sottotraccia rispetto al Libano. Ma per Benjamin Netanyahu è altrettanto fondamentale. Perché è lì, dove si scontrano coloni radicali e residenti palestinesi e dove c’è la fragile Autorità nazionale di Abu Mazen, che Hamas e Jihad islamico hanno iniziato la loro penetrazione. E non è un caso che le Israel defense forces abbiano deciso, da alcuni mesi, di utilizzare per la West Bank una strategia diversa rispetto agli anni passati. Una pressione più pesante, che sta prendendo piede soprattutto in questi giorni con raid e incursioni su tutto il territorio. L’esercito dello Stato ebraico si è mosso a Jenin, Nablus, Tubas e Tulkarem, dove ieri ha comunicato l’uccisione di 12 uomini armati palestinesi.

Un numero che per Wafa, l’agenzia palestinese, sale invece a 17. E le operazioni proseguono da giorni, come del resto avevano preannunciato anche i comandi delle Tsahal. Una strategia diversa, simile a quella per contrastare la seconda intifada, dicono gli esperti, e che ha trovato anche forti critiche da parte della comunità internazionale. “Gli ultimi sviluppi nella Cisgiordania occupata, compreso il lancio di operazioni militari su larga scala da parte di Israele, sono profondamente preoccupanti. Condanno fermamente la perdita di vite umane, anche di bambini, e chiedo l’immediata cessazione di queste operazioni”, ha scritto su X il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

In Cisgiordania nuove armi da Iran

Mentre da Bruxelles, si è levata la voce dell’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, che ha chiesto che le operazioni nella regione non siano un allargamento della guerra a Gaza e ha condannato la richiesta di evacuare la popolazione avanzata dal ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz. Il governo israeliano non sembra però affatto intenzionato a fare marcia indietro.
E i motivi sono principalmente due. Il primo è che la Cisgiordania, secondo il Mossad e lo Shin Bet, si sta trasformando in un nuovo strumento di pressione da parte dell’Iran. Da mesi funzionari Usa e israeliani hanno messo in guardia sul flusso di armi che Teheran farebbe arrivare nel territorio sotto l’autorità dell’Anp attraverso la Giordania e la Siria. Spesso con l’ausilio di Hezbollah. E da Ramallah, anche il partito Fatah, dominante in Cisgiordania, ha più volte posto l’accento su questa novità strategica degli ultimi anni (ma in particolare dei mesi dopo il 7 ottobre), avvertendo di non “sfruttare” per altri fini “la nostra sacra causa e il sangue del nostro popolo”.

Il secondo motivo dell’impegno israeliano è però anche legato alla situazione politica e militare all’interno della regione, con Hamas e Jihad islamico palestinese sempre più forti. E con una costellazione di milizie che rischiano di essere ormai completamente sfuggite al controllo dell’Anp ma anche di essere stato sottovalutate per troppo dall’Idf. Secondo gli analisti sentiti dal Washington Post, i miliziani che attualmente operano in Cisgiordania non sono paragonabili né a quelli di Hamas nella Striscia di Gaza né a quelli di Hezbollah in Libano. Sono abbastanza disorganizzati, sicuramente meno armati. Non hanno la gerarchia né la preparazione di chi ha combattuto o si è addestrato per una vera e propria guerra con Israele. Tuttavia, hanno dalla loro parte un vantaggio. Conoscono perfettamente il territorio, specialmente quello dei campi profughi.

Chi sono i miliziani in Cisgiordania

La popolazione li sostiene. E anche se compiono attacchi rudimentali, per l’intelligence e le forze di sicurezza israeliane rappresentano un problema soprattutto per la capacità di compiere agguati in qualsiasi circostanza. Il Jihad islamico palestinese (la fazione più popolare) si è inoltre avvicinata molto ad Hamas, specialmente dopo il 7 ottobre. E anche gruppi indipendenti come la Fossa dei leoni di Nablus ha mostrato una certa capacità di colpire in tutta la West Bank. Per Israele, un problema sempre più serio. Soprattutto perché l’aumento delle violenze da parte dei coloni estremisti rischia di rendere il terreno sempre più fertile per questo tipo di minacce. Anche per questo motivo, dagli Stati Uniti sono arrivati numerosi avvertimenti nei riguardi dei segmenti più radicali israeliani. E dopo l’ultimo appello di Khaled Meshaal, predecessore di Ismail Haniyeh alla guida di Hamas, per “riprendere gli attacchi suicidi”, il rischio è che la Cisgiordania possa essere un inquietante bacino di miliziani disperati pronti a immolarsi.