Voleva passare alla Storia come il “Churchill del XXI secolo”, colui che aveva guidato il mondo libero contro l’Hitler di Mosca, Vladimir Putin. Invece, passerà alla cronaca come il Primo ministro del “Partygate”. Potrà forse durare giorni, forse ore. O anche trascinarsi fino alle prossime elezioni. Ma il destino politico di Boris Johnson è segnato. Il problema, ormai, non è se, ma come e quando uscirà di scena. L’ennesima mazzata micidiale sull’inquilino del 10 di Downing Street è arrivata ieri mattina con altre due dimissioni nel suo governo, sulla scia dei contraccolpi per la gestione del premier Tory britannico dello scandalo Pincher, ultimo di una lunga serie. Uno scandalo pesante, perché il protagonista era stato nominato da Johnson il vice “chief whip”, colui che indica e disciplina i voti del gruppo conservatore alla Camera dei Comuni, che si è dimesso giovedì scorso dopo una serata vergognosa al club preferito dei tory, il Carlton a Mayfair, durante la quale, ubriaco, ha molestato con avance sessuali due giovani attivisti conservatori.
Il problema per Johnson è che Pincher cose del genere le avrebbe fatte per anni, secondo vari resoconti delle sue presunte vittime. Boris ne era stato informato più volte, sia da ministro degli Esteri che poi da capo di governo. Ciononostante, Johnson ha nominato Pincher “vice chief whip” solo qualche mese fa. Per poi mentire pubblicamente, più volte, sul fatto che fosse a conoscenza delle accuse contro di lui. Ad annunciare ieri la loro uscita dalla compagine sono stati Will Quince, viceministro responsabile finora del dossier della Famiglia e dell’Infanzia, e Laura Trott, finora ministrial Aide (qualcosa di meno di sottosegretario) ai Trasporti. Posizioni che il 57enne inquilino di Downing Street ha ricoperto subito con un immediato mini rimpasto, deciso per ora – come ribadito oggi dal nuovo cancelliere Nadim Zahawi -a cercare di andare avanti. Messo sulla graticola, Johnson ha in ogni caso negato la prospettiva di elezioni politiche anticipate: “Non credo che nessuno le voglia in questo momento” di crisi globale, ha detto. “Credo invece che noi dobbiamo andare avanti, servire gli elettori e affrontare le priorità che stanno loro a cuore”.
“Il compito di un primo ministro nelle difficili circostanze attuali è di andare avanti come io intendo fare, avendo ricevuto un mandato popolare colossale” alle elezioni di fine 2019, ha tagliato corto Johnson di fronte alle nuove sollecitazioni a dimettersi. In un successivo passaggio ha poi detto che “vi è una semplice ragione per cui” i laburisti “mi vogliono fuori” da Downing Street: perché “sanno che altrimenti il governo attuerà il suo programma” sul rilancio economico e sul dopo Brexit, e i conservatori “vinceranno anche le prossime elezioni politiche”. Quanto al caso Pincher, egli è tornato a esprimere “profondo rammarico” e a scusarsi per il comportamento del suo ex alleato di governo e per il fatto che egli fosse rimasto nella compagine malgrado precedenti segnalazioni. Ma non ha risposto a Starmer sul perché lo abbia promosso alla fine a deputy chief whip a dispetto delle informazioni che – dopo le mezze smentite inizialmente fatte diffondere da Downing Street – ha dovuto ammettere di aver avuto sul comportamento passato del suo ex pretoriano.
Incalzato dal leader laburista a confermare o smentire se abbia a suo tempo definito egli stesso Pincher come “un palpeggiatore per natura” giocando sul suo cognome (“Pincher by name, pincher by nature”), BoJo ha tuttavia glissato dicendo non “voler trivializzare” la vicenda. Mentre ha rivendicato di aver alla fine escluso dal governo e dal gruppo Tory l’ex viceministro, trincerandosi per il resto “sull’indagine indipendente” aperta intanto su di lui e sulla riservatezza che essa impone. “Chiunque si sarebbe dovuto dimettere da tempo nella sua posizione”, tuona il leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer, durante il Question Time alla Camera dei Comuni rivolgendosi al premier conservatore. Ha poi attaccato il primo ministro per aver promosso “un predatore sessuale”, riferendosi al recente caso Pincher, e poi per gli altri scandali come il Partygate. Starmer ha parlato di “comportamento patetico” di Johnson mentre la “nave affonda e i topi scappano”, ricordando la raffica di dimissioni nell’esecutivo Tory e puntando il dito contro la “disonestà” di tutto il partito di maggioranza. Starmer in un suo intervento ha fatto una ricostruzione molto cruda e dettagliata dello scandalo Pincher, con una descrizione esplicita della molestia che una delle vittime ha denunciato di aver subito da parte dell’ex deputy chief whip.
Per poi ricordare come la vicenda sia stata gestita dai vertici Tory, ignorando le accuse contro l’ex viceministro e la testimonianza di chi si era fatto avanti per denunciarne il comportamento. “Sono tutti seduti lì come se questo fosse normale”, ha affermato il leader laburista riferendosi ai banchi occupati dalla maggioranza. Ha quindi dichiarato nel suo affondo finale, sempre prendendo di mira l’insieme dei deputati conservatori e in particolare quanti sostengono ancora il “bugiardo” Johnson: “Nel bel mezzo di una crisi il Paese non merita di meglio di pupazzi di cani che fanno di sì con il muso dietro i vetri delle automobili?”. “Il troppo è troppo”. Con queste parole Sajid Javid ha motivato ieri alla Camera dei Comuni in un discorso dai toni devastanti per Johnson – paragonato da qualcuno a quello del ministro Douglas Hurd che precedette la caduta di Margaret Thatcher – le sue dimissioni di martedì scorso da ministro della Sanità dopo lo scandalo Pincher. Javid ha detto di aver in passato concesso più volte “il beneficio del dubbio” al premier su altri sospetti di scandalo, ma di essersi ora convinto che il problema è “al vertice” e che Johnson “non cambierà”. Ha quindi invitato con accenti accorati gli altri colleghi Tory a riflettere, sostenendo che la questione “non è solo personale”, ma che ha a che fare con “il rispetto del rule of law” da parte del Partito Conservatore e con la necessità che la formazione di maggioranza “recuperi la fiducia” del popolo britannico se vorrà vincere anche le prossime elezioni.
In precedenza, altri due deputati conservatori, incluso l’ex ministro pro Brexit ed ex candidato leader David Davies, avevano avanzato o rinnovato durante il Question Times inviti espliciti a Johnson a dimettersi. Inviti peraltro respinti dal premier, che rivolgendosi in particolare a Davies lo ha “ringraziato” per la sua franchezza, ma ha insistito di “non poter essere più in disaccordo con lui” questa volta. Il “disperato di Downing Street” prova ad arginare lo tsunami politico. Ma oramai la diga è saltata. Perché è in corso una valanga di dimissioni: sono 27 i rappresentanti del governo Johnson che hanno lasciato nelle ultime ore, ossia circa il 20% dell’esecutivo. Nelle loro lettere di dimissioni, tutti gli ex componenti del governo evidenziano come sia “impossibile andare avanti così” e che “il Primo ministro purtroppo non ha più la mia fiducia”. All’interno del partito conservatore da tempo era scattata la rivolta, che il 6 giugno ha portato a un voto di sfiducia che Johnson ha vinto di stretta misura. Il 41% dei deputati Tory gli ha votato contro. Negli ultimi mesi ben due responsabili dell’etica hanno dato le dimissioni, oltre al presidente del partito Oliver Dowden, che aveva dichiarato che «non possiamo andare avanti come se niente fosse».
Il partito conservatore ha clamorosamente perso una serie di elezioni suppletive in circoscrizioni che fino a poco fa erano considerate feudi inespugnabili dei Tories. I sondaggi rivelano che la popolarità del premier è ai minimi storici, come confermato dai fischi della gente quando appare in pubblico. È stata una caduta verticale per Johnson, che nel 2019 aveva trionfato alle urne, conquistando una larghissima maggioranza in Parlamento per i Tories grazie alla promessa di «concludere Brexit». Dice a Il Riformista Donald Sassoon, tra i più autorevoli storici inglesi: “Che se ne vada subito o tra qualche settimana o che non se ne vada, la cosa che sembra al momento meno probabile, e rimanga fino alle elezioni del 2024, resterà senza dubbio uno dei pezzi di grande folklore della storia britannica. Perché abbiamo a che fare con una persona che diventa Primo ministro per il voto dei suoi deputati e poi per quello degli iscritti al Partito conservatore, contro una Prima ministra come Theresa May, anche lei Tory, che aveva fatto del proprio meglio per rimediare al catastrofico voto per il Brexit. Johnson diventa Primo ministro e d’allora non ci sono altro che guai”. “Alcuni – prosegue Sassoon – dovuti a fatti con cui lui non c’entra, come il Covid. Ma in altri il suo marchio è indelebile.
All’inizio, quando pensava che il Covid non fosse una cosa seria. Poi quando ha detto a tutti che bisognava stare chiusi in casa mentre lui organizzava feste a Downing Street.. E così via. Fino all’ultimo scandalo, quello per molestie sessuali, l’affaire Pincher. Un affare squallido. È come se Johnson avesse fatto di tutto per non azzeccarne una. Anche i primi ministri più catastrofici una volta su due l’azzeccano. Invece lui niente. È andato contro anche al calcolo delle probabilità. Per questo rimarrà nella storia. Né come un grande Primo ministro né come il peggiore. Ma come il Premier più folkloristico, più ridicolmente catastrofico che ci sia mai stato”. Ma questo, conclude il professor Sassoon, “era prevedibile. Perché già da giornalista era catastrofico. Tutto quello che ha fatto prima è stato catastrofico. L’unica cosa sorprendente è che la gente ne sia sorpresa. Parafrasando il titolo di un gran film di Bernardo Bertolucci, quella che si sta consumando a Londra è la tragedia di un Premier ridicolo”.