In 20 anni ha messo su una rete di accoglienza che funziona ma non piace alla Chiesa
Chi è don Luca Favarin, il prete sospeso a Padova: le battaglie per i migranti, la cooperativa e il ristorante
“Da oggi sospeso a divinis ai sensi del can. 1333.1 del diritto canonico. Sic transit gloria mundi. Ma resta e resterà sempre la felicità e la forza di una vita che ci coinvolge per servire e amare con serenità e un cuore abitato dalla gioia”. Così Don Luca Favarin ha annunciato su Facebook la decisione della Chiesa padovana di sospenderlo dalle sue funzioni di prete. Il parroco non potrà più celebrare la messa battezzare, confessare, sposare. Una decisione che arriva dopo le sue numerose battaglie e l’impegno per i migranti. In particolare la Chiesa punta il dito contro la sua gestione dell’accoglienza e la rete di attività messe in piedi e giudicate troppo “a carattere imprenditoriale”. Don Favarin ha aperto bar, tavole calde, mense, ristoranti, addirittura un villaggio per minori non accompagnati. Una modalità che funziona e si autosostiene che però non è piaciuta al vescovo. E così, dopo più di 20 anni di attività don Luca è costretto a fare un passo indietro.
“Umiliazione? Frustrazione? – continua nel post su Facebook accanto a una foto che lo vede con le spalle alla chiesa camminare lungo il viale – Io oggi mi sento come Mosè che, spalle a un luogo diventato ormai di potere e oppressione, guarda in avanti alla ricerca di una terra promessa”. Secondo quanto riportato dal Corriere, le tensioni con la Chiesa sono iniziate già da tempo per la rete di gestione dell’accoglienza dei migranti messa in piedi da don Luca. Tra le sue attività a Padova si contano, oltre al villaggio Kidane, in cui accolgono i migranti, anche il bar Versi ribelli, la Caffetteria al Museo Eremitani e il Ristorante etico Strada Facendo. Una rete in cui la Chiesa padovana vedeva un indirizzo troppo “lucrativo”.
“Pur riconoscendo lo spirito umanitario e solidale che anima l’operato di don Luca Favarin, da parte sua non si è trovata condivisione di metodo – comunicava una nota – la Diocesi pertanto non può essere coinvolta nelle sue attività, che vengono ad assumere carattere imprenditoriale”. A fare male per don Luca non è solo la decisione ma il modo: “Tutto questo senza che una volta, una sola volta in 20 anni, l’istituzione ecclesiastica sia venuta in comunità, mi siano state chieste le ragioni, abbiano ascoltato le radici cristiane, ecclesiali e comunitarie con cui facciamo le cose.. senza guardare ma solo vedendo dalla finestra del palazzo. Si accoglie questo in silenzio e senza rabbia alcuna”, ha spiegato su Facebook.
I numeri che girano intorno alle attività di don Luca, che riveste il ruolo di presidente della cooperativa, sono importanti, segno che le attività funzionano bene. E riscontravano anche un certo favore nel contesto dell’imprenditoria progressista padovana. Una realtà che si autosostiene, funziona e che produce utili. “Abbiamo Percorso Vita, Percorso Altro e Percorso Terra: il volume d’affari è di circa 1 milione e 700 mila euro l’anno. I soldi vengono reinvestiti nell’attività: non ci sono consulenti da pagare o gettoni di presenza, e nemmeno compensi per consiglieri del cda”, ha detto don Luca in un’intervista a Repubblica. Racconta che ogni Comune che affida alle sue attività un minore paga una retta. Ogni anno riesce a togliere dalla strada 160 ragazzi che arrivano in condizioni disperate e dopo il percorso scolastico e lavorativo riesce a inserirli nella società a dare loro un futuro con un lavoro e una casa.
E spiega: “La Chiesa mi contesta sul piano metodologico: è il modo in cui si lavora con i poveri che non va. Noi pensiamo che i poveri non siano sono solo destinatari di attenzione e carità, ma sono anche artefici di qualità, con percorsi di autonomia. Per noi i migranti devono essere protagonisti dell’accoglienza”. E con piglio pragmatico spiega: “Noi non possiamo aspettare l’elemosina della gente. La nostra attività deve essere solida, solo così si sostiene. Con cosa pago gli operatori? Con le Ave o Maria? Con cosa do da mangiare ai ragazzi? I nostri dipendenti sono tutti pagati con contratti nazionali, è tutto trasparente”. Il parroco spiega che i bilanci della cooperativa sono trasparenti e affidati a Confcooperative proprio per non avere problemi con la gestione del denaro.
Don Luca ha sempre portato battaglie in difesa dei diritti della comunità Lgbt e espresso posizioni sul fine vita in contrasto con la Chiesa. “Ma come posso essere testimone dell’inclusione e poi avere atteggiamenti escludenti?”, spiega. Dopo la sospensione a divinis da parte della Diocesi di Padova ha deciso di allontanarsi con grandissimo dispiacere. “Magari ci sono preti che vanno a prostitute e tirano di cocaina – ha detto – ma verrebbero trattati meglio…”.
© Riproduzione riservata