Sessantuno anni, foggiano di nascita e napoletano d’adozione, Giovanni Melillo, neo capo della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, è magistrato che tiene al profilo istituzionale. Fra i capi della Procura di Napoli degli ultimi anni è stato quello meno mediatico, più politico, autoritario. Un’aria da primo della classe, che gli deriva forse dall’essere risultato tra i primi in Italia al concorso in magistratura, forse da un fattore caratteriale, e che comunque non lo ha tenuto lontano da polemiche e critiche. In primis, a Napoli, quelle legate alla (non) comunicazione di notizie su arresti e omicidi tanto da innescare più di una volta le proteste dei giornalisti nonostante l’ ‘operazione trasparenza’ presentata con la decisione di consentire alla stampa l’accesso agli atti dopo formale richiesta all’ufficio del procuratore, quindi a lui stesso, e dietro pagamento dei diritti.
In magistratura dal 1985, Melillo è stato prima pretore a Barra, quartiere della difficile e degradata periferia di Napoli, poi sostituto procuratore dell’allora neonata Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Se non ci fossero state le porte girevoli ad oliare i passaggi dalla magistratura alla politica e viceversa, la sua carriera sarebbe stata diversa. Sta di fatto che nel 1999 Melillo arriva alla segreteria generale della Presidenza della Repubblica come consulente giuridico, due anni dopo passa alla Procura nazionale antimafia come sostituto con funzioni di coordinamento investigativo in materia di criminalità organizzata e stragi terroristiche. Roma è una città che consente molte esperienze e relazioni professionali. Bisogna saperle coltivare e se si ha ambizione, determinazione e un pizzico di cinismo si riesce anche meglio. Melillo resta a Roma circa otto anni e nel 2009 fa ritorno a Napoli come procuratore aggiunto, prima nella sezione Criminalità comune e poi in Dda. Le porte girevoli sono sempre lì, pronte a riportarlo fuori ruolo per consentirgli di ritornare a Roma.
È il 2014, al governo c’è Matteo Renzi e il Guardasigilli è Andrea Orlando: il nostro procuratore diventa capo di Gabinetto del ministro della Giustizia e assume un ruolo strategico nella gestione giuridica e organizzativa di molte questioni che passano per gli uffici di via Arenula. L’esperienza dura qualche anno perché, caduto il governo Renzi, per Melillo è tempo di indossare nuovamente la toga. Et voilà, le porte girevoli lo consentono. Nel 2017 è sostituto pg a Roma, poco dopo tenta la corsa a procuratore di Milano ma quando capisce che non può farcela fa un passo indietro, si ritira e appena può si candida alla guida della Procura di Napoli. La vittoria non è schiacciante ma lo porta comunque al vertice del più grande ufficio inquirente d’Italia, dal 2 agosto 2017 ad oggi. Anni segnati da una gestione accentrata e più votata all’innovazione tecnologica e alla specializzazione delle sezioni, non sufficiente però a dare all’ufficio quell’approccio davvero laico rispetto al potere giudiziario esercitato dai sostituti.