Il caso di Firenze
Chi è Giuseppe Valditara, il neocrociano fedele alla pedagogia di calci e pugni
Uomo di vastissime letture, non a caso è il ministro dell’istruzione. C’è del metodo, e molta sottile metafisica, nelle sue esternazioni che fortunatamente, per il loro incredibile impatto costruttivo sulle menti della Nazione, diventano sempre più frequenti. Ha consultato anche stavolta i grandi classici prima di prendere penna e calamaio per annunciare la dura censura governativa contro la “politicizzata” dirigente scolastica fiorentina. Quali fonti filosofiche ispirano il luminare che Meloni ha voluto giustamente promuovere a prestigioso titolare del ministero di viale Trastevere?
Non c’è dubbio, le sue parole, mai scontate, nascondono un pensiero forte. Nell’affondo inevitabile contro la professoressa Annalisa Savino, il creativo ministro del merito ha sicuramente raccolto e fatto proprio l’insegnamento racchiuso in un’antica pagina di Benedetto Croce. Il grande filosofo, anch’egli con un’esperienza al ministero, benediceva le aggressioni contro gli uomini e le donne delle sinistre che si agitavano con le loro “vuote” idee d’eguaglianza e di socialismo. Avevano ragione, scandiva in “Etica e Politica”, quanti associati in squadre nere prendevano “a scappellotti i creduli in quelle formule insulse e coloro che le vanno ripetendo a uso dei gonzi”.
Non preoccupavano, il cantore della “religione della libertà”, i pestaggi dei fascisti, da lui esaltati anzi in un’occasione come “uomini di vivo senso storico e politico divenuti appassionati partigiani della forza”. La loro violenza politica sugli avversari racchiudeva sì una veemenza “grossolanamente intesa”, ma non si poteva certo pretendere una sottigliezza eccessiva nei modi d’agire che ispiravano un energico e scanzonato movimento politico di rigenerazione nazionale. Gli squadristi comunque, a loro merito, si prendevano la briga di dare degli “scappellotti” ai sostenitori delle “formule insulse” della democrazia. Per questo al loro capo, pure lui un “popolano impetuoso e anche violento”, tributò un applauso scrosciante al Teatro San Carlo.
Giovanni Gentile non credeva di esagerare dipingendo questo Croce, così attratto dalla pedagogia muscolare dei calci e pugni, come “uno schietto fascista senza camicia nera”. Sulle orme del “filosofo dei distinti”, il ministro della verità avrà sentito forte il richiamo etico-politico del filosofo abruzzese, cantore della bella violenza somministrata romanamente contro i “gonzi” come una immancabile pratica educatrice. Alla preside, che si permette senza ritegno di citare Gramsci, e quindi di fare politica, il ministro dalle vaste vedute raccomanda di cimentarsi con la superiorità morale di alcune pagine di Croce. Quelle sì che erano un esempio fulgido di etica pubblica, soprattutto quando ritenevano del tutto salutari, nel loro risvolto “pratico o praticistico”, i movimenti rudi, dal futurismo al fascismo, perché quando agivano per strada menando da par loro andavano celebrati dal momento che “la eventuale pioggia di pugni, in certi casi, è utilmente e opportunamente somministrata”.
Davanti al liceo politicizzato di Firenze, come potevano non materializzarsi quelle esemplari spedizioni pedagogiche dei novelli “partigiani della forza”? Come fa la dirigente scolastica a insorgere, per giunta in bella prosa, per qualche baldo ceffone e a non cogliere tutta la carica liberatrice sprigionata dalla neo-littoriale giovanile pratica persuasiva della “pioggia di pugni”? Si aggiorni sui nuovi metodi didattici in voga nell’età del merito, lasci stare il teorico sardo che odiava gli indifferenti e apprenda i rudimenti della filosofia crociana dello scappellotto. Non possiede proprio i più elementari fondamenti del pensiero, questa professoressa che non conosce il magistero di Croce sui risvolti culturali dei pugni in faccia e la butta in politica scandalizzandosi per la violenza educatrice dispensata sui marciapiedi dagli intrepidi nuovi patrioti.
Mentre Giorgia, la madre, cristiana, patriota, si prende una pausa dalla politica e si fionda in macchina diretta al ristorante di Anzio (fa più notizia con lo Chef e le vongole che a Kiev con i capi di Stato ai quali promette aerei tra colpi di tosse e risate fuori ordinanza), non spendendo neppure una parola dinanzi alle botte distribuite dai toschi degni apprendisti di uno statista alla Donzelli, questa preside ha l’ardire di entrare dritta in politica e prendere le difese di quattro studentucoli, di novelli “gonzi” da rieducare con l’infallibile medicina crociana della pedata e del cazzotto. È proprio a digiuno della pedagogia manesca che a Trastevere non dispiace affatto blandire in nome dell’endiadi pensiero e azione.
Il ministro neo-crociano, colpito da siffatta ignoranza circa i grandi passaggi della cultura nazionale, sta meditando su quale sanzione comminare a una dirigente scolastica che resiste alle forme educative del tempo nuovo. Fuori la politica dalla scuola, ordina inebriato dal richiamo fiorentino ai valori sempiterni della forza e della vitalità. E dentro il liceo entrino presto quei sei audaci pugilatori cresciuti in gagliarda arte politica nelle sedi gigliate di Fratelli d’Italia.
Chi altri infatti, se non questo moderno esemplare di agile somministratore di violenza di piazza per scacciare la politica dalle aule, è degno di essere chiamato in cattedra per chiara fama? Ministro, cacci in fretta l’obsoleta preside e assuma i sei camerati, non servono concorsi, bastano come metro del loro “merito” le pure immagini, prive per una volta di ogni opacità semantica. Hanno i titoli e soprattutto il tirocinio pragmatico necessari per insegnare, crocianamente s’intende, la filosofia dello scappellotto.
© Riproduzione riservata