Ha scelto un momento evocativo importante per dire la sua, “la domenica del perdono”. Ma di perdono nel suo sermone c’era ben poco. Kirill I, capo della chiesa ortodossa russa, in un sermone ha benedetto la guerra contro l’Ucraina con parole dure. Per lui la guerra della Russia in Ucraina “è giusta” perché vanno puniti modelli di vita peccaminosi e contrari alla tradizione cristiana come “il gay pride“. E così ha probabilmente messo un freno all’arduo percorso di avvicinamento con la Chiesa di Roma.

Kirill I è nato 75 fa nell’allora Leningrado con il nome di Vladimir Michajlovič Gundjaev. È il sedicesimo patriarca di Mosca e di tutte le Russie, capo di una Chiesa che assomma 150 milioni di fedeli, circa la metà del mondo ortodosso ed è un fedelissimo di Putin. Nel sermone Kirill non ha fatto menzione dei morti ucraini, del dramma dei bambini, salvo un riferimento ai russofoni del Donbass.

Kirill nel sermone pronunciato nella Domenica del Perdono, che in Russia apre la Quaresima, approva l’invasione della Russia arrivata dopo che “per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass“, “dove c’è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale”. E secondo Kirill “oggi esiste un test per la lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo ‘felice’, il mondo del consumismo eccessivo, il mondo della ‘libertà’ visibile. Sapete cos’è questo test? E’ molto semplice e allo stesso tempo terribile: è una parata gay” e le repubbliche separatiste del Donbass hanno respinto questo “test di lealtà” all’Occidente, esortandole alla resistenza contro i valori promossi dalla lobby gay.

Ha quindi affermato che la guerra riguarda la divisione tra i sostenitori del gay pride – o i governi occidentali che li permettono – e i loro oppositori nell’Ucraina orientale sostenuta dalla Russia. “Oggi i nostri fratelli nel Donbass, gli ortodossi, stanno indubbiamente soffrendo, e noi non possiamo che stare con loro, soprattutto nella preghiera”, ha spiegato Kirill.

Parole che hanno indignato tutto il mondo con l’evocazione di una guerra santa di un conflitto che “non ha solo un significato politico” perché “si tratta della salvezza umana, di dove andrà a finire l’umanità”, di “una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico”: un conflitto ontologico tra bene e male, dove il male è l’Occidente corroso dal peccato.

È noto che in Russia ci sia un’alleanza tra il trono e l’altare, un’influenza reciproca tra il patriarca e Putin. Fin ora Kirill non si era esposto più di tanto ma con il sermone non ha lasciato ombra di dubbio sul suo pensiero sulla guerra.

Cresciuto in una famiglia molto religiosa, monaco dal 1969, ha fatto una carriera folgorante fin dagli anni sovietici, gli studi all’Accademia teologica di Leningrado-San Pietroburgo della quale divenne poi rettore, la nomina a vescovo di Vyborg (1976), arcivescovo di Smolensk (1984) e Kaliningrad (1988) e metropolita (1991), Alessio II  nel 1989 lo scelse come presidente del dipartimento affari religiosi esteri e quindi “ministro degli esteri” del Patriarcato. Successe al vecchio patriarca morto nel 2009.

Dal 1996 al 2000 aveva diretto i lavori per l’elaborazione dei Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa, nei quali tra l’altro si legge: “Lo Stato riconosce che il benessere terreno è inconcepibile senza l’osservanza di determinate norme morali, di quelle stesse che sono indispensabili anche per la salvezza eterna dell’uomo. Per questo gli obiettivi e l’attività della Chiesa e dello Stato possono coincidere non solo per quanto riguarda la ricerca di una prosperità puramente terrena, ma anche per la realizzazione della missione salvifica della Chiesa”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.