Presidente lituano: "Putin, nessuno ha paura di te"
Chi è Leonid Volkov, il collaboratore di Navalny preso a martellate in Lituania: “Volevano fare di me una cotoletta”
L’aggressione a Leonid Volkov, colpito ieri a martellate mentre si trovava nei pressi della sua casa a Vilnius, in Lituania, è l’ultima fotografia di una trama di ombre che unisce (e divide) Europa e Russia. L’ex collaboratore di Aleksei Navalny, il dissidente russo morto nella colonia penale “Lupo polare”, è stato fermato mentre si trovava nella propria auto vicino casa. L’aggressore ha sfondato il vetro dell’automobile, ha spruzzato uno spray agli occhi e infine ha colpito Volkov a martellate. “Lavoreremo e non ci arrenderemo” ha chiarito Volkov. “Quell’uomo mi ha aggredito nel cortile, mi ha colpito alla gamba circa 15 volte. La gamba in qualche modo è a posto. Fa male camminare. Volevano letteralmente fare di me una cotoletta” ha spiegato su Telegram il braccio destro di Navalny, che da tempo vive in Lituania per sfuggire alle forze di Mosca. Ma quel “caratteristico saluto da bandito”, come l’ha descritto Volkov, un atto di pura violenza che arriva a circa un mese dalla morte di Navalny, ha innescato diversi interrogativi. Il primo è capire chi sia stato l’autore materiale dell’assalto. Il secondo, se dietro questa aggressione vi sia una regia più alta, con i sospetti che sono immediatamente caduti sulla Federazione russa. Il terzo, che cosa aspettarsi nelle prossime settimane o mesi.
“Putin, nessuno ha paura di te”
Il presidente lituano, Gitanas Nauseda, ha commentato quanto accaduto nel suo Paese rivolgendosi direttamente al capo del Cremlino: “Posso dire una cosa sola a Putin: nessuno qui ha paura di te”. Parole chiare, che rientrano perfettamente nella diplomazia dell’intransigenza dei Paesi baltici nei confronti del vicino russo. Anche il controspionaggio di Vilnius è d’accordo. L’aggressione a Volkov, dicono i servizi lituani, è stata “probabilmente organizzata ed eseguita dalla Russia”. L’indicazione è evidente. E i riflettori si accendono inevitabilmente su Mosca, ritenuta la base operativa di questo tipo di operazioni. Sul punto, gli esperti però non sono totalmente concordi. Se infatti si ritiene che l’aggressione sia collegata al ruolo di Volkov, alla sua vicinanza a Navalny e dunque alla sua opposizione a Vladimir Putin, diversi sono gli scenari pensati riguardo l’identikit dell’aggressore. Per qualcuno può essere manovrato direttamente dal Cremlino o da alcuni apparati dello Stato profondo russo. Ma non si può escludere anche un’altra ipotesi: quella di frange estreme e bene organizzate che hanno intenzione di ergersi agli occhi di Putin o dei servizi russi come degli ottimi esecutori materiali per regolare i conti con i nemici.
Il precedente del disertore Maksim Kuzminov
Uno scenario che in ogni caso preoccupa le agenzie di intelligence europee, che vedono dopo questa violenza un doppio problema. Da un lato proteggere gli avversari del potere russo in esilio nel Vecchio Continente. E dall’altro studiare un modo per tutelarsi da un attivismo di Mosca che appare ormai privo di limiti. Sul primo aspetto, vale la pena ricordare quello che aveva detto Volkov al quotidiano indipendente russo Meduza poco prima di essere aggredito. “Il rischio principale ora è che verremo tutti uccisi. Perché, è una cosa abbastanza ovvia” aveva detto. Un terrore che si è concretizzato nel giro di poche ore, ma che ha attivato l’allarme su tutte le donne e gli uomini vicini a Navalny e che hanno trovato rifugio all’estero. La paura di Volkov è strettamente legata al secondo tema: capire come frenare questa oscura attività criminale in Europa limitando anche quel senso di impunità sempre più evidente. Poche settimane fa, a destare allarme era stato il caso di Maksim Kuzminov, il disertore russo trovato morto ad Alicante, in Spagna. L’uomo, dopo essersi consegnato agli ucraini nell’agosto del 2023 insieme all’elicottero che pilotava, aveva deciso di recarsi nel Paese iberico. Ma lì, tradito forse da una telefonata alla ex fidanzata, lo hanno trovato dei sicari, che l’hanno freddato a colpi di pistola davanti all’ingresso di un garage. L’intelligence spagnola ha messo subito in chiaro, attraverso fonti anonime, che si trattava di persone arrivate dall’estero con l’obiettivo di uccidere e di fuggire subito dopo avere compiuto la propria missione.
Ma resta il tema di fondo che ha acceso il dibattito interno agli apparati di Madrid e nella stampa: come è stato possibile non sapere dell’arrivo del disertore? E soprattutto, come è stato possibile che agenti russi o che si presume legati alla Russia si siano mossi liberamente nel territorio di un Paese Ue e dell’Alleanza atlantica senza alcun freno né indicazione che stesse avvenendo qualcosa di così drammatico in una località anche pubblicamente nota per la presenza di una folta popolazione russa? Dubbi che hanno fatto riflettere l’intelligence spagnola, certo, ma che hanno anche confermato i sospetti su un certo desiderio russo di mostrarsi capaci di colpire i propri nemici ovunque, con qualsiasi mezzo, e soprattutto di non fare nulla per sconfessare le indagini sul proprio operato. Le versioni ufficiali tendono a essere molto distanti dalle smentite, volutamente opache. Mentre le fonti che parlano dalla Federazione sembrano quasi avere l’obiettivo di manifestare una macchina quasi perfetta. E che per alimentare la paura dei propri avversari, si serve anche della pubblicità di questi fatti.
La morte di Navalny è in questo senso un esempio interessante. Il suo decesso ha creato un’ondata di interesse in Europa occidentale, dove sono molti coloro che hanno sempre sostenuto la causa del dissidente russo e che hanno provato grande indignazione prima per le condizioni del carcere imposte all’ex blogger e poi all’oscura circostanza della morte. Ma in patria, le autorità hanno fatto capire sin da subito di volere rendere molto difficile, se non pericoloso, sia la partecipazione ai funerali sia la possibilità di unirsi a manifestazioni di protesta. E non c’è stato alcun interesse a non farlo comprendere ai media.
Un elemento che è valso anche per gli arrivi dall’estero, come dimostrato dai visti negati a Benedetto Della Vedova, Lia Quartapelle e Ivan Scalfarotto. “Il 29 febbraio abbiamo tenuto la prima conferenza stampa spiegando che avevamo chiesto il visto ed eravamo in tempo per partecipare al funerale. Nel pomeriggio il visto non era arrivato, ma avevamo spiegato che saremmo partiti comunque per mettere un fiore sulla tomba. Oggi, 13 marzo, ci restituiscono i passaporti attraverso l’agenzia cui ci eravamo rivolti senza visto e senza nessuna spiegazione della ragione per cui non lo hanno concesso, senza motivazione”, ha spiegato ieri Della Vedova. “Non sono stupito, ero ben preparato a questo esito. Il diniego di un visto, anche privo di motivazioni, è un atto amministrativo preciso”, ha detto Scalfarotto. La Russia che si avvicina alle elezioni ha fatto capire di non volere “problemi”. Né all’estero né in patria.
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