È un alieno, l’eccezione, una scheggia nella musica italiana in questi anni. Lucio Corsi: cantante, autore, cantautore, cantore. Colpisce, per la sua ricercatezza ed eccentricità. E convince, pubblico e critica. Anche attraverso i live: quest’estate è stato tra i pochi ad aver lasciato un segno negli eventi concertistici dello Stivale con un mini-tour e nonostante tutte le precauzioni e le paure. Per alcuni è un piccolo genio, per il momento scrive e canta le sue canzoni. Anche a L’Assedio, il programma del canale NOVE all’interno della quale Daria Bignardi lo ha voluto con la sua band come artista fisso in studio.

Classe 1993. Lucio Corsi vive tra Milano e la Toscana. Precisamente, a Milano vive a Niguarda, quartiere nell’area Nord. In Toscana è cresciuto, in campagna. Il paese più vicino alla casa in campagna dove vive è Vetulonia. La città più vicina è Grosseto. La nonna ha gestito per quarant’anni un ristorante di cucina tipica maremmana. La madre dipinge: le copertine dei dischi del figlio sono tutte sue opere.

Corsi scrive e canta oltre il quotidiano. Va al di là delle solite storie d’amore, degli episodi raccontati in fretta e in furia e con qualche furbizia retorica. Lui, invece, spariglia e sorprende con racconti non comuni, personaggi bizzarri, narrazioni antropomorfiche. Nel giro di appena tre anni si è costruito un mondo tutto suo, già riconoscibile, di soggetti sghimbesci, animali che parlano, elementi che significano favole e metafore. Cita, per la creazione del suo micro-cosmo fantastico e mitico, Paolo Conte, Ivan Graziani, Francesco De Gregori. E una serie di autori folk, soprattutto americani, più o meno attuali. Altri punti fermi li riconosce nel glam rock: David Bowie e Mick Ronson, i T-Rex di Marc Bolan. Un’attitudine che sposa anche nel look: eccentrico, spesso pajettato, truccato. Gucci lo ha vestito e investito per una sfilata a Milano insieme con Francesco Bianconi, collega ben più celebre, leader dei Baustelle, ora solista e produttore. Si sono conosciuti, i due, nella trattoria delle nonna del primo.

Corsi descrive Niguarda come un paesino dentro Milano. E la maremma come il Far West. Ha preso gli animali dell’appennino e ci ha riempito il suo secondo album: Bestiario Musicale (2017), operette antropomorfica, da filastrocche e poesiole, e da realismo magico grossetano e quindi grossolano. A livello letterario tira spesso in ballo Luciano Bianciardi, Emily Dickinson, Andrea Pazienza. Nel primo album, Altalena Boy/Vetulonia Dakar (2015) aveva seminato – la title-track è un articolo di giornale su un giallo di cronaca alieno e buffo – nell’ultimo Cosa faremo da grandi (2020, Sugar Music) ha raccolto, consensi da pubblico e critica, con almeno una manciata di pezzi memorabili – anche qui la title-track, che però è una specie di manifesto ideologico e romantico. Lucio Corsi non ha al momento simili in Italia: non ha niente della prosa it-pop tutta tastiere e San Valentino e finto indie tanto in voga. Unico.

Antonio Lamorte

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