Maurizio Avola è diventato collaboratore di Giustizia dopo essere stato per anni uno dei killer più spietati della Mafia. Ha scritto un libro con Michele Santoro. Un libro che potrebbe essere l’inchiesta più importante di tutta la sua carriera, ha detto il giornalista. “Sono l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino, prima di dare il segnale per fare quella maledetta esplosione”, ha confidato il pentito al giornalista.
Il libro si chiama Nient’altro che la verità. Si propone di ricostruire trent’anni di storia della Mafia in Italia e promette rivelazioni sulla matrice della strage di Via D’Amelio, a Palermo, del 19 luglio 1992 nel quale morirono il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Il libro sarà al centro di una puntata speciale del Tg di La7, in onda in prima serata il 28 aprile, condotta da Enrico Mentana. Nient’altro che la verità uscirà domani edito da Marsilio.
“Maurizio Avola non è famoso come Tommaso Buscetta e non è un capo come Totò Riina. Ma non è un killer qualsiasi: è il killer perfetto, obbediente, preciso, silenzioso, e proprio per questo indispensabile nei momenti decisivi”, si legge nella sinossi del libro. “Forse sottovalutato dai suoi capi e dagli inquirenti che ne hanno vagliato le testimonianze” e “ha archiviati nella memoria particolari, voci, volti che coprono tre decenni di storia italiana”. Avola ha conosciuto Matteo Messina Denaro, il boss introvabile, il numero uno di Cosa Nostra.
In una lunga intervista del Time del 2015 Avola raccontava la sua storia: nel 1983 si affiliava dopo il primo omicidio. “Lavoravo nel ristorante di mio padre a Catania – raccontava – Ho sempre saputo che non era il lavoro per me. Pensavo ai soldi e al potere mentre pulivo i bicchieri. Volevo diventare qualcuno. Feci una serie di rapine a mano armata e a 21 anni richiamai l’attenzione di Marcello D’Agata, un mafioso che viveva a 100 metri da casa mia”. Il primo omicidio: Andrea Finocchiaro, avvocato, per dichiarazioni sul boss Benedetto Santapaola. Il delitto nel centro di Catania.
Avola ha raccontato dell’affiliazione, dei soldi, le macchine sportive, le case, le regole di Cosa Nostra. Il killer si descriveva come un soldato nella guerra della mafia, gli anni delle stragi. Ha detto di aver ucciso uno dei suoi migliori amici, Pinuccio di Leo. Ha eseguito un ordine. Il giorno dopo l’arresto. In undici anni 79 omicidi prima di essere arrestato nel 1994 e pentirsi. È diventato collaboratore dopo aver realizzato, a quanto pare, che la mafia stava pianificando il suo omicidio. La sua famiglia ha cambiato identità. Ha scontato la sua pena in un carcere del Nord. Avrebbe contribuito con le sue dichiarazioni a oltre cento condanne.
“Sono l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino, prima di dare il segnale per fare quella maledetta esplosione”, ha raccontato a Michele Santoro. Il giornalista: “Non so bene perché ho deciso di incontrare uno che ha ucciso ottanta persone. Guardo Avola e ho la sensazione di trovarmi davanti uno specchio nel quale comincio a riconoscere tratti che sono anche i miei. Inizio a seguirlo in un labirinto di ricordi”.
Il libro sta uscendo sulla scorta di una grande attenzione mediatica. Promette ricostruzioni, le tessere di un puzzle che si uniscono, rivelazioni su mafia e antimafia, politica, potere, informazioni, depistaggi. Dalla Sicilia degli anni Settanta a oggi. Santoro è stato ospite della trasmissione di Lilly Gruber Otto e mezzo sempre su La7. Avola si è autoaccusato di aver avuto un ruolo operativo nell’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, assassinato il 5 gennaio 1984 a Catania, e ha indicato i nomi di altri assassini e dei mandanti.
Non era invece mai emersa la sua presenza a Palermo il giorno della strage di Via D’Amelio. Non era emersa in sede di processo. Le sue dichiarazioni sono al vaglio della Dda di Caltanissetta. Il pentito Gaspare Spatuzza – puntualizza Lasicilia.it -, teste chiave del nuovo processo dopo la revisione di quello nato dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino, non ha mai parlato della presenza di Avola sul luogo dell’attentato. “Mi accendo la sigaretta. Lo guardo così. Mi soffermo rigiro e faccio il segnale. Il mio lavoro è finito, me ne devo andare. Hanno fatto tutta una ricostruzione diversa da questa qui”, dice Avola in un video in esclusiva su Tpi.
A novembre 2019 si è concluso in appello il quarto processo per la strage di via D’Amelio. Confermata la sentenza di primo grado di condanna all’ergastolo ai boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage. Dieci anni invece ai falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Come aveva fatto la Corte d’assise anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Scarantino.