Il caso del Procuratore
Chi è Maurizio De Lucia, il procuratore di Palermo che non ama i proclami
Maurizio De Lucia, 61 anni, campano, dallo scorso settembre è il procuratore di Palermo. Il magistrato, fin dal primo giorno nel capoluogo siciliano ha adottato un “basso profilo”: poche esternazioni, poche conferenze stampa, rapporti con i media solo per lo stretto indispensabile. Uno stile molto simile a quello del procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, e di Milano, Marcello Viola, e che ha messo in crisi i giornalisti specializzati nel copia e incolla. Al momento pare aver avuto ragione, portando a compimento l’arresto di Matteo Messina Denaro.
De Lucia, prima di insediarsi, aveva però avuto piccolo “inciampo” in relazione alla vicenda di Antonello Montante, condannato in appello ad 8 anni per associazione a delinquere. Il procuratore di Palermo era stato indagato e archiviato per avere “passato” notizie all’ex presidente di Confindustria siciliana dell’indagine che lo riguardava a Caltanissetta. Il 9 maggio 2018, in particolare, la Procura di Caltanissetta aveva trasmesso alla Procura di Perugia tre conversazioni intercettate il 10 marzo 2016, il 29 aprile 2016 e l’8 settembre 2016 tra Montante e Diego Di Simone Perricone, un ex poliziotto della squadra mobile di Palermo, transitato nella sicurezza di Confindustria grazie a Montante. Caltanissetta aveva già trasmesso nel 2016 alla Procura di Perugia alcuni messaggi telefonici rinvenuti nel computer sequestrato a Montante il 22 gennaio 2016 dalle quale si desumeva un rapporto di conoscenza diretta tra quest’ultimo e De Lucia.
Dalle telefonate risultavano tre incontri tra il poliziotto e De Lucia presso la sede della Direzione nazionale antimafia aventi ad oggetto proprio l’indagine a carico di Montante, dialoghi che Di Simone aveva, in maniera criptica e frammentaria, riportato al capo di Confindustria. Ritenendone la possibile rilevanza penale la Procura di Caltanissetta aveva trasmesso tali atti a Perugia ritenendo che sui magistrati operanti nel distretto di Roma dovesse indagare la Procura del capoluogo umbro anche se la legge sull’istituzione della DNA stabiliva che la competenza fosse nella Capitale. Il procuratore di Perugia dell’epoca, Luigi De Ficchy, assegnò a se stesso il procedimento e sulla prima trasmissione, quella del 2016, a quanto risulta dalla richiesta di archiviazione, non svolse alcun accertamento.
Sulla seconda trasmissione, quella del 2018, decise invece di iscrivere De Lucia per rivelazione di segreto e favoreggiamento per poi richiedere, a maggio del 2019, l’archiviazione, accolta dal gip Lidia Brutti il mese successivo. Come disse Vincenzo Armanna, collaboratore di giustizia della Procura milanese nel processo Eni Nigeria, la vicenda Montante è “la sintesi tra politica, forze dell’ordine, magistratura, burocrazia, Confindustria e aziende di Stato… con un bel passaggio su mafia e Vaticano… Montante spiega bene cos’è l’Italia”. Chissà, allora, l’arresto di Matteo Messina Denaro permetterà di far luce su quelli che sono i veri rapporti di forza fra mafia e politica. Aldilà di tanti teoremi.
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