All’apparenza le vicende legate al monumento di Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma, la complessa gestazione del Galileo di Bertolt Brecht al Piccolo di Milano con la direzione di Giorgio Strehler nel 1963 e la vita irta di pericoli e oppressioni dell’anarchico Pietro Gori non hanno molto in comune, se non il fatto di essere tutti e tre pezzi un po’ dimenticati di memoria italiana. Eppure un legame esiste e a metterlo in luce è stato lo storico Massimo Bucciantini attraverso tre libri, Campo dei Fiori, Un Galileo a Milano e Addio Lugano bella. In Campo dei Fiori, «biografia di una statua», Bucciantini ha ricostruito le lotte e gli scontri che per tredici anni segnarono la discussione sul posizionamento della statua di Bruno a Roma, statua che si trasformò presto in un altissimo simbolo di libertà per una parte dell’Italia e di suprema vergogna per un’altra, mentre Un Galileo a Milano, biografia stavolta di uno spettacolo teatrale, è incentrato sul processo di scrittura di Brecht della sua opera sullo scienziato toscano e sull’allestimento memorabile di Strehler che creò non pochi problemi al teatro milanese.
L’ultimo volume, Addio Lugano bella, appena pubblicato da Einaudi (pp. 310, euro 30), è invece la «biografia di una canzone» e a partire da questa Bucciantini ricostruisce la storia del suo autore, l’anarchico Pietro Gori, che in origine la intitolò Canto degli anarchici espulsi. Si fa adesso forse un po’ più chiaro il carattere comune di queste storie, che vanno a formare una straordinaria trilogia che ha come oggetto principale le possibili declinazioni che può assumere la battaglia per la libertà, «pezzi di una storia più grande, di un’Italia laica e civile che rischia di essere dimenticata, tre momenti di riflessione che possono aiutare a comprendere meglio il tempo presente». Le parole di Bucciantini illuminano un altro significato di questi libri, cioè la loro capacità di donare al lettore uno sguardo diverso sul mondo contemporaneo, uno sguardo arricchito da vicende esemplari del passato, storie di «uomini e destini così diversi» uniti da uno smisurato desiderio di libertà.
Quest’ultimo libro prende le mosse dalla canzone Addio Lugano bella composta da Pietro Gori nel 1895 durante la prigionia in Svizzera perché considerato un sovversivo, cantata e incisa negli anni successivi da una gran numero di musicisti, da Vinicio Capossela a Milva, da Ivan Graziani a Francesco De Gregori, da Giorgio Gaber a Enzo Jannacci. Bucciantini ricostruisce la vita eccezionale di Pietro Gori, nato a Messina nel 1865 da genitori toscani e morto a Portoferraio nel 1911, con riferimenti puntuali a numerosi documenti di archivio, ma mostrando anche la passione e le illusioni che muovevano lo spirito di Gori e di altri giovani anarchici suoi compagni. Il libro obbedisce anche a una volontà di testimonianza, mantenendo viva la memoria di donne e uomini che hanno combattuto per la libertà ma di cui oggi non restano tracce ufficiali e di cui spesso non conosciamo neanche i nomi.
Si tratta di personaggi che hanno pagato a caro prezzo le loro decisioni, come accaduto appunto a Pietro Gori che dovette vivere buona parte della sua vita in esilio, in fuga dalle autorità che vedevano nella «fiaccola dell’anarchia», per usare le parole di Francesco Guccini, ammiratore di Gori, un pericoloso rischio di sovvertimento dell’ordine, ancor più inaccettabile nella giovane Italia unita. Spettò a una nuova scienza, l’antropologia criminale di Cesare Lombroso, che con il passare del tempo non si è dimostrata tale, dare le basi scientifiche a questa repulsione per gli ideali libertari e garantire a un giovane Stato di tratteggiare una decisa linea di demarcazione tra ciò che è concesso politicamente e cosa no.
Molti governanti subirono il fascino dei distorti ritratti di Lombroso e dei suoi allievi, che si presero il compito di schedare arbitrariamente la parte malata della società di cui facevano parte anche gli anarchici, per la maggior parte «criminali o pazzi, o qualche volta l’una e l’altra insieme», come scrisse in un piccolo libro del 1894 Lombroso stesso. La macchina che cerca di frenare l’anarchismo con la reclusione e la messa al bando ha degli ingranaggi complessi che vanno dalla propaganda politica agli strumenti della scienza e si comprendono bene attraverso questo libro che, muovendosi tra Pisa, Milano, Lugano, l’Isola d’Elba e le Americhe, racconta la feroce campagna mediatica contro Pietro Gori e la sua vita sempre sotto la sorveglianza della polizia, fino al suo arresto in Svizzera e appunto la scrittura di Addio Lugano bella. In un’altra sua celebre canzone, Stornelli d’esilio, Pietro Gori ha scritto che «Nostra patria è il mondo intero / nostra legge è la libertà / ed un pensiero / ribelle in cor ci sta»: sono parole necessarie anche per la nostra società contemporanea che colpevolmente spesso ignora il pensiero libertario e personaggi eccezionali come lo stesso Pietro Gori, Errico Malatesta e molti altri.