Il pugile Tyson Fury ha detto di essere come “il grande John Wayne”, di essere fatto “di ghisa e di acciaio”. Lo ha detto alla fine dell’incontro che lo ha confermato campione del mondo dei pesi massimi della WBC. Una battaglia campale quella andata in scena a Las Vegas, alla T-Mobile Arena la notte scorsa, drammatica e brutale. Uno degli incontri più spettacolari degli ultimi decenni. “È stata una grande battaglia – ha detto sul ring dopo il verdetto Fury – degna di qualsiasi trilogia nella storia di questo sport”.
E quindi ha preso il microfono e ha ringraziato il pubblico e cantato Walking in Memphis di Marc Cohn a cappella cambiando le parole. “Ho camminato su Las Vegas”, ha cantato Fury. Di Wilder ha detto che è il migliore, dopo di lui, e che “non ha amore per me. Sai perché? Perché l’ho battuto tre volte. Sono andato da lui per mostrargli rispetto e lui non lo ha accettato. Quindi, questo è il suo problema. Pregherò per lui, così Dio addolcirà il suo cuore”. Il terzo capitolo della saga non lascia spazio a dubbi: Fury è il più forte.
La storia di Tyson Fury
Fury è nato il 12 agosto 1988 a Whythenshawe nella Grande Manchester, Regno Unito, da genitori di origini irlandesi e da una famiglia di tradizione pugilistica. Il padre John “Gipsy” Gipsy Fury è stato combattente professionista negli anni 80, il cugino ha vinto il titolo dei pesi medi WBO nel 2014. Fury nacque prematuro: tre mesi prima e pesava solo un pound, neanche mezzo chilo. Rischiò la vita. Il padre lo chiamò Tyson in onore di Mike Tyson, il leggendario peso massimo americano tra i più famosi di tutti i tempi. Il suo record recita 31 vittorie, 22 delle quali per ko, un pareggio e zero sconfitte.
È cresciuto nell’ambiente dei nomadi pavee – irish travellers o tinkers – nella bareknucle, pugilato a mani nude con regole sommarie praticato ancora in alcune aree dell’Inghilterra. Il suo soprannome, per ovvi motivi, è “Gipsy King”, il Re degli Zingari.
E Re lo divenne per davvero nel novembre 2015 quando sconvolse il mondo del pugilato battendo ai punti Wladimir Klitschko diventando campione del mondo dei pesi massimi delle cinture WBA, WBO, IBO e IBF. Klitschko non perdeva dal 2004. Fury lo stordì con la sua boxe molto tecnica, mobile sulle gambe, agile, capace di schivare numerosi colpi, nonostante i suoi 206 centimetri di altezza e un fisico per niente statuario. Altra critica che gli viene mossa: non è un puncher, gli dicono, non ha il pugno letale dei pesi massimi, o almeno non come i suoi contendenti. E invece.
A quel punto della sua vita Fury perse il controllo: cominciò ad assumere cocaina e alcol per combattere la depressione. Era arrivato a pesare 181 chili. Al magazine Rolling Stone si paragonò a un maiale. Risultò positivo alla cocaina in un test sulle urine della Vada, la Voluntary Doping Agency di Las Vegas. Il The Mirror sollevò altri sospetti: Fury sarebbe stato positivo a un test antidoping del febbraio 2015 agli steroidi anabolizzanti, nove mesi prima della vittoria su Klitschko. “Se io fossi risultato positivo perché poi mi avrebbero permesso di combattere il 28 novembre contro il campione in carica?”, fu la replica e questa resta la storia ufficiale.
Saltò comunque tutto: la rivincita con Klitschko e la sua carriera, anche la sua vita quasi. La Federazione britannica gli sospese la licenza nel 2016 e le cinture gli vennero tolte. “Non sono andato in palestra per mesi, assente ingiustificato. Ero in giro a bere, nessuno può capire che cosa mi succedeva. Mi hanno diagnosticato un disturbo bipolare, sono un maniaco depressivo. Se non fossi cristiano mi toglierei la vita in un secondo. Spero solo che qualcuno mi uccida prima di ammazzarmi”. Cominciò così un lungo percorso di disintossicazione.
Il grande ritorno
La squalifica durò due anni. Tyson Fury tornò sul ring quasi tre anni dopo, nel giugno del 2018, contro Sefer Seferi alla Manchester Arena. Un recupero nel quale in pochi avevano scommesso: con del miracoloso dentro. Altra caratteristica del pugile gitano: la personalità. E infatti non esitò a ributtarsi nella mischia delle posizioni che contano della categoria regina del pugilato. Deontay Wilder, “The Bronze Bomber”, è considerato il puncher più letale di questa generazione. Delle sue 42 vittore, 41 sono arrivate per ko. La corona della WBC era sua dal 2015, dalla vittoria contro Bermane Stiverne, quando nel dicembre 2018 andò in scena il primo capitolo con Fury. Wilder aveva un record immacolato di sole vittorie.
Spettacolo puro, allo Staples Center di Los Angeles, con l’inglese complessivamente migliore ma buttato due volte al tappeto dal bomber americano: una delle due fu violentissima, con il britannico a rialzarsi in maniera clamorosa, si può azzardare miracolosa. Il giudizio finale fu una split decision: pareggio. Tutto da rifare. Il secondo capitolo il 22 febbraio 2020, mondo pre-covid. Fu una lezione di Tyson Fury: ko tecnico alla settima ripresa per il “Gipsy King” che tornava sul tetto del mondo. Il terzo e definitivo capitolo doveva tenersi lo scorso luglio, rinviato perché il campione in carica risultò definitivo al covid-19. Ieri alla T-Mobile Arena di Las Vegas la battaglia campale, la fine di una trilogia che è stata un climax drammatico e tragico. L’americano è andato ko all’11esima ripresa. Fury era andato due volte al tappeto nel quarto round. Comunque troppo più forte, superiore: Wilder è stato atterrato nel terzo round, nel decimo e infine con un gancio destro. È stato portato in ospedale per accertamenti dopo l’incontro. È Fury il re dei massimi e il protagonista del pugilato mondiale.
La famiglia e le controversie
Due mesi fa Fury ha avuto il suo sesto figlio, una femmina, Athena. Nata prematura come lui e già in pericolo di vita nei giorni in cui, per il covid, venne rinviato il match. Ce l’ha fatta, è salva. Fury è sposato dal 2008 con Paris Mullroy, la conosce da quando avevano lui 17 anni e lei 15. Hanno avuto tre maschi e tre femmine. Tutti i maschi portano il nome di “Prince” perché “io sono un re” e anche in onore del fortissimo e agilissimo pugile, tra i suoi miti, Naseem Hamed. La famiglia vive a Morecambe, in Lancashire.
Fury è molto cattolico, oltre che controverso per alcune battute e uscite infelici, omofobe e antisemite, o sull’aborto e la pedofilia. Dichiarazioni spesso deliranti – per le quali si è scusato – che hanno suscitato scandal0: 90mila persone arrivarono a firmare nel 2015 una petizione per rimuoverlo dalla lista del premio Spoty della BBC allo sportivo dell’anno. Le sue conferenze stampa sono piene di trashtalking e piuttosto movimentate. Dall’omicidio di George Floyd – l’afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis, Minnesota, negli Stati Uniti nel maggio 2020, un caso che sollevò il tema del razzismo sistemico a livello mondiale – ha preso consapevolezza politica. “Io sono bianco, ma discriminato perché nomade, e a nessuno importa niente”.
Di certo è un personaggio: dopo la prima vittoria con Wilder ha cantato a cappella per il pubblico American Pie di Don McLean; si è presentato in conferenza stampa vestito da Batman; ha cantato una canzone con Robbie Williams nel suo album natalizio. È tifoso del Manchester United. Per supportare la nazionale inglese nel 2016 viaggiò fino a Nizza, in Francia, con altri tifosi, in occasione degli Europei di calcio. Pare che in quell’occasione spese mille euro in cocktail Jagerbombs.
Il mondo dei pesi massimi sottosopra
Se da una parte appassionati e osservatori descrivono la categoria regina della boxe come orfana dei fenomeni di un tempo, dall’altra la faccenda sta diventando sempre più appassionante. Solo una settimana fa l’ucraino Oleksander Usyk ha sorpreso tutti battendo il britannico campione in carica delle cinture WBA, IBF e IBO Anthony Joshua. Quello che tanti appassionati, soprattutto britannici, avrebbero voluto vedere era una riunificazione delle cinture tutta britannica tra Fury e Joshua. Anche perché tra i due non corre buon sangue, anzi.
Tutto scombinato per il momento. Anzi il promoter di Joshua Eddie Hearns ha annunciato ieri che il rematch Usyk-Joshua si terrà e molto probabilmente il prossimo marzo. Il campione vorrebbe a casa sua, in Ucraina. Difficile. Fury dovrebbe vedersela con Dillian Whyte o Otto Wallin che il prossimo 30 ottobre si contenderanno la corona ad interim in palio. La giostra dei pesi massimi ha ripreso a girare imprevedibilmente e rapidamente.