L'addio
Chi era Aldo Masullo, il filosofo che trasmetteva idee, sapere ed emozioni
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Ho conosciuto Aldo Masullo, il grande filosofo morto a Napoli venerdì scorso (era nato ad Avellino nel 1923), in due diverse fasi della mia vita: la prima da studente; la seconda da osservatore partecipante della vita culturale partenopea fra vecchio e nuovo millennio. Mi dispiace solo di non aver potuto recensire sempre sui giornali a cui collaboravo i suoi libri così come avrei voluto e come lui con cortesia mi sollecitava a fare. Quei testi, infatti, erano poco “vendibili”, profondamente “inattuali”, lontani nella forma e nei temi dalla “chiacchiera” quotidiana. E uso il termine non a caso perché la “chiacchiera” è per Martin Heidegger uno dei caratteri in cui è sprofondata la nostra “esistenza inautentica”. E proprio ad Heidegger e al suo allievo Hans George Gadamer era dedicato uno dei corsi di Masullo che ho seguito alla Federico II, e che hanno costituito il mio primo impatto con questa personalità veramente eccezionale.
Ecco, credo che nessuno dei miei professori, o delle grandi personalità della cultura che ho poi incontrato nella mia vita, mi abbia fatto vivere un’ “esperienza” (un altro termine che non uso a caso) così intensa e mi abbia accompagnato per mano alla comprensione non meramente esteriore dei classici della filosofia. E poiché i giovani sanno distinguere intuitivamente il grano dal loglio, come suol dirsi, non è un caso che le sue lezioni fossero sempre affollate e seguite, anche da coloro che casomai avevano già sostenuto l’esame di Filosofia Morale (che era ufficialmente il suo insegnamento). D’altronde, quando entrava in classe, un silenzio assoluto si sostituiva al chiasso indisciplinato che aveva regnato fino a pochi minuti prima e tutti dipendevamo dalle sue parole, dalle emozioni e dalle idee che sapeva trasmetterci.
Emozioni? Ebbene sì. Il progetto filosofico di Masullo è stato proprio quello di mettere a tema quel carattere emozionale, o patico come lui lo chiamava, che accompagna la conoscenza umana e che in qualche modo aveva fatto andare in tilt lo Heidegger di Essere etempo. Il quale, come ci suggeriva Masullo, aveva cercato di trovare gli esistenziali, cioè le categorie universali e necessarie dell’esistenza umana, in ciò che universalizzabile e razionalizzabile proprio non è: l’umana affettività. Un tentativo destinato a fallire, come attesta l’interruzione all’ottantreesimo paragrafo dell’ “analitica esistenziale”.
A quel solco esistenziale, se non proprio esistenzialistico, Masullo invece rimase ancorato fino a concepire una Antimetafisica del fondamento (1971), che è un tentativo pieno di suggestioni che spazia dal rigore logico maturato nello studio di Fichte e Husserl, cioè dell’idealismo e della fenomenologia, alle più ardite sperimentazioni filosofiche legate a discipline come la psichiatia, l’antropologia o la sociologia culturale. Il suo pensiero aveva in verità già avuto modo di temprarsi con Struttura soggetto prassi (1962), quasi anticipando certe successive intuizioni proprie dell’area post-strutturalistica francese, che pre approfondirà (da Foucault a Derrida, da Ricoeur a Deleuze, per intenderci). La sua Metafisica. Storia di un’idea è una straordinaria panoramica della vicenda bimillenaria che ha portato alla dissoluzione nel nichilismo di un’idea rassicuratrice della filosofia.
La via d’uscita egli la cercò in una raffinata idea di intersoggettività che quasi ritrovava nel rapporti con gli altri e col mondo quel senso plausibile delle cose che la pura teoria non può dare se non si è dsposti al “sacrificio dell’intelletto”. (La comunità come fondamento, 1965: Fichte. L’intersoggettività e l’originario, 1986, Il tempo e e la grazia. Per un’etica attiva della salvezza, 1995; Politicità e indifferenza, 2003; Filosofia morale, 2005); È in quest’orizzonte che si colloca la sua attività politica, svolta con la precisione e pignoleria, e insieme il garbo e la signorilità, che erano caratteristiche della sua personalità. Deputato come indipendente nelle liste comuniste dal 1972 al 1976; senatore dei DS dal 1994 al 2001, esplicò il suo impegno civile soprattutto a Napoli.
Animò agli inizi degli anni Novanta l’ “Assise di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva al piano regolatore, e fu lì lì per diventare sindaco, quando fu il protagonista, fra il 1992 e il 1993, di un gruppo di rappresentanti della “società civile” volti al rinnovamento morale della città. Concepì in modo estremamente libero la sua militanza a sinistra, conquistando con l’autorevolezza e il rispetto che la sua figura imponeva quote non indifferenti di libertà propositiva. Il tutto nell’ottica di quella alleanza fra borghesia operosa e non compromessa e classi umili che a Napoli è sempre mancata.
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