«Un uomo abbastanza normale». C’è tutto Arnaldo Forlani in questa risposta resa a Gianni Minoli nella puntata di ‘Mixer’ del 26 febbraio 1989. Forlani era stato appena eletto per la seconda volta segretario nazionale della Dc con l’85% dei voti («Un incarico che non ho cercato, per cui mi pesa dire grazie a qualcuno»), alla cui guida rimase fino all’ottobre del 1992, dopo la ‘non vittoria’ alle Politiche, la mancata elezione al Quirinale – trafitto dai ‘franchi tiratori’ – e l’avvio del ciclone mediatico-giudiziario di Tangentopoli.

Un uomo dalle grandi passioni, ma dai toni sempre pacati, moderati e definiti persino pigri. «Non sembra nemmeno che conti», diceva di lui uno dei collaboratori, Michele Braccioni, uno dei tanti riferimenti che Forlani aveva nella sua Pesaro. E, invece, contava eccome: presidente del Consiglio (‘80-’81), vice presidente del consiglio (con Craxi premier, tra l’83 e l’87), ministro degli Esteri (‘77-79), della Difesa (‘74-’76) e delle Partecipazioni statali (‘68-69). E poi, deputato per nove legislature, dalla terza all’undicesima: entrò alla Camera nel 1958 e ne uscì nel 1994, quando scelse di non ricandidarsi.
Dietro quella corteccia di uomo pacato, sobrio e sempre misurato nelle reazioni si celava una tempra da statista e da uomo profondamente determinato (una determinazione che gli permise anche di arrivare fino alla serie C del campionato di calcio con la sua ‘Vis Pesaro’).

A tratteggiare un ricordo di Forlani per Il Riformista è Ettore Prandini, presidente di Coldiretti e figlio di Gianni (22 anni da parlamentare, di cui otto con incarichi ministeriali), uno dei più stretti collaboratori e amici di Forlani.
«Tra Arnaldo e mio padre c’era un’amicizia che andava ben oltre la politica e coinvolgeva anche le nostre famiglie – dice Prandini -; ancora oggi conservo un’amicizia significativa con uno dei tre figli di Arnaldo, Marco Forlani, col quale siamo spesso in contatto». A contraddistinguere la figura dello statista pesarese c’erano «il suo modo di fare pacato e un’eleganza che altri non avevano».

Ed è proprio anche per questo che Giovanni Prandini scelse di legarsi a Forlani, come uomo e come politico. «Mio padre nasce come Fanfaniano – racconta ancora Ettore -, si avvicina a Forlani perchè aveva un temperamento molto simile a quello del politico aretino: con lui non sarebbe mai riuscito ad andare d’accordo. Mentre con Forlani, che stimava quanto Fanfani ed era altrettanto preparato, trovò un carattere complementare al suo e che, infatti, fece nascere un legame che durò per tutta la vita».

Forlani è stato un uomo che senza andare mai sopra le righe, ha innegabilmente segnato la Prima Repubblica. «Quella stagione politica è stata cancellata con le inchieste di carattere giudiziario – osserva Ettore Prandini – ma ancora non ci sé soffermati abbastanza su una valutazione profonda di cosa ha rappresentato quella fase, delle realizzazioni positive che si sono compiute. Ancora non è stata fatta una completa, corretta e non ideologica analisi politica di quella stagione che ha costruito e consolidato la democrazia in Italia, difendendole anche da attacchi esterni di non poco conto».

Un’epoca, quella iniziata col secondo dopoguerra, in cui la politica è stata luogo di grandi e aspri scontri di idee e di ideologie, senza mai scivolare in quella lotta nel fango senza idee che spesso va in scena sul teatrino politico di questi ultimi decenni. «Figure come Forlani, come mio padre e tanti altri – afferma Prandini – sono stati protagonisti di un modo di fare politica che era sempre rispettoso delle posizioni e delle opinioni altrui. Possedevano una forma di attenzione e ascolto anche a chi aveva opinioni diverse senza mai scadere nell’offesa di carattere personale. Ciò anche nelle fasi più critiche del nostro Paese e questo ha rappresentato una garanzia di tenuta democratica per l’intera popolazione».

Una stagione di politici che avevano solidissime radici innervate all’interno della società italiana, ma con una capacità di tessere e mantenere relazioni internazionali di altissimo livello. «I grandi statisti di quell’epoca, ad esempio Helmut Kohl leader della Cdu – sottolinea ancora Ettore Prandini -, avevano un prestigio che spesso è stato esaltato anche nel nostro Paese; ma i leader politici italiani, come lo fu Forlani, non sono stati da meno».

Un ‘peso’ internazionale che forse ha influito anche sulla fine traumatica di quella stagione. «Forse tra qualche anno si scoprirà qual è stato il vero elemento per il quale il nostro Paese è stato attraversato da quelle inchieste giudiziarie, che erano anche legate al peso politico che l’Italia giocava in politica estera e alla funzione di ‘argine’ che ha rappresentato nei confronti dell’influenza sovietica nel nostro Paese e in Europa. Con la caduta del muro di Berlino, quell’argine non era più così determinante. Ma per analizzare con la necessaria obiettività queste cose, servirà ancora qualche anno».