L'addio al regista
Chi era Citto Maselli, partigiano bambino instancabile fucina di idee e speranze

Forse la vita di Citto Maselli si può sintetizzare così: non è mai stato un ex. Precocissimo come attivista politico, sceneggiatore, regista, documentarista, fotografo, agitatore culturale, sperimentatore, negli ultimi anni continuava a essere quel critico radicale e appassionato delle ingiustizie sociali che era sempre stato, a rivendicare e lavorare per una dimensione collettiva in cui il singolo trovasse identità e scopo – con i documentari collettivi prodotti con la Fondazione Cinema del Presente da lui fondata –, a schierarsi politicamente e attivamente con Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, in cui militava .
Un resistente. Sempre, ma non per carattere o per principio. Perché, anzi, Francesco detto Citto amava il rigore, la chiarezza di idee, i progetti ben sostenuti da un impianto logico e capaci di trasformarsi in realtà. Quindi simpatia per i movimenti Noglobal e Notav, per esempio, come momenti positivi e importanti di protesta a un esistente insopportabile, ma senza smettere di vedere la forma-partito come unica struttura in grado di operare quei passaggi che risultano impossibili allo spontaneismo: avere una visione di ampio respiro, studiare approfonditamente i problemi, elaborare proposte particolari e generali, lottare affinché queste proposte diventino azione. Resistente lo era stato quando ad esserlo si rischiava la vita, e lui aveva soltanto tredici anni. Si sente comunista ma non può entrare nel Partito comunista clandestino data l’età, e allora si iscrive all’Unione Studenti Italiani, che sostiene idee abbastanza simili e con cui si impegna ad avvicinare alla causa persone come Sandro Curzi e Luciana Castellina, che comuniste non sono.
A Curzi dà da leggere Il Manifesto, con la Castellina comincia a discutere prendendo a pretesto una conferenza sul cubismo. Finalmente conquista la tessera del Pci, poi nel 1949 si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia. Sono così evidenti la sua passione e la sua voglia di fare che Luigi Chiarini, fondatore proprio del Csc, lo chiama come assistente alla regia, prima che anche Michelangelo Antonioni si accorga di lui e gli proponga di fare il suo aiuto nel documentario L’amorosa menzogna. Ne nasce un sodalizio (lavorano insieme alle sceneggiature di Cronaca di un amore e La signora delle camelie), di più, un’amicizia. Raccontano le cronache (o i pettegolezzi?) che il rapporto si interrompa bruscamente dopo che Citto diventa pupillo anche di Visconti, che ha idee politiche molto diverse da quelle di Antonioni, per poi riprendere, ma forse con reciproca diffidenza. Visconti aiuta Maselli a debuttare nel lungometraggio Gli sbandati (presentato con successo a Venezia nel 1955), e diventa un faro, un riferimento, «il rapporto più importante della mia vita professionale», dice lo stesso Maselli. «Il suo La terra trema, film sui pescatori siciliani, è il film che più mi ha insegnato».
Altre collaborazioni sono con Cesare Zavattini, per il quale dirige l’episodio Storia di Caterina nel film Amori in città, e con Mario Monicelli, di cui è aiuto regista e cosceneggiatore, e insieme al quale le discussioni politiche sono stimolanti e memorabili: «Ero legatissimo a lui, che non era comunista ma genericamente di sinistra, però con uno sguardo sulla società borghese molto intelligente. Un uomo che non si fermava alla critica di costume, che andava nel profondo». La società borghese, già. Quella da cui Citto proviene. A casa sua, bambino, poteva sedere sulle ginocchia di Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli, e Luigi Pirandello, che l’aveva anche tenuto a battesimo. Il padre, filosofo e critico, era infatti cattolico. Qualche contraddizione tra l’essere comunisti e l’essere cattolici? Niente affatto. Perché, diceva Maselli, il primo socialista è stato Gesù Cristo, che difendeva gli ultimi, gli schiavi che non avevano diritti. E cos’altro è il comunismo se non il riscatto degli ultimi in nome dell’uguaglianza? Nessuna contraddizione neanche tra comunismo ed estrazione borghese: «Intanto perché all’epoca c’era un potente collante, l’antifascismo, e poi perché, nel mio caso specifico, la mia famiglia era una famiglia di intellettuali, dunque senza le ipocrisie classiche dei borghesi».
Quanto gliel’hanno fatto pesare, l’estrazione borghese. Anche chi non voleva attaccarlo o sbeffeggiarlo, ma (sempre cautamente e con molti distinguo) lodarlo. Film come I Delfini (1960), o Gli indifferenti (tratto dal romanzo di Moravia, 1964) sono stati considerati il prodotto di una sorta di insanabile lacerazione interiore, quasi si trattasse di documenti attestanti una patologia. Ma cos’è che di Maselli veramente non si sopportava? Lo sguardo spietato. Il realismo. L’essere lontano dalla commedia all’italiana, il non cercare la complicità dello spettatore ma proporsi di suscitare in lui pensieri e, se possibile, dubbi e disagio. La polemica diventa scontro quando Maselli “regista impegnato” (definizione molto in voga allora, intesa a ridicolizzare) è in prima fila nel contestare la Mostra di Venezia e, come segretario generale dell’Anac, l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici nata nel secondo dopoguerra, crea un fronte di trentuno associazioni culturali e professionali che vanno da “Magistratura Democratica” a “Psichiatria Democratica”, e addirittura apre alle tre grandi Confederazioni sindacali dei lavoratori. Scandalo, sconcerto. Ma questa Anac, proprio perché così rafforzata e schierata, riuscirà a imporre due progetti legislativi di riforma, per la Biennale di Venezia e per il Gruppo Cinematografico Pubblico. Studio approfondito dei problemi, elaborazione di una proposta, azione. La triade vincente.
Gli anni Settanta sono soprattutto di passione politica, partecipazione a convegni e comizi, interviste, dichiarazioni. Ma nel ’75 arriva un film sorprendente, con Gian Maria Volontè in stato di grazia che interpreta un militante comunista braccato dall’Ovra nell’Italia fascista. Che accade all’interno di un partito, nello specifico del Pci? Quali le logiche, i pericoli, la forza della coesione o viceversa la spinta centripeta? Un tema che Maselli ha già affrontato in Lettera aperta a un giornale della sera (1970), e su cui ora ritorna, con un film complesso che si è voluto leggere come un film a tesi (la logica di partito è più forte di tutto) a causa della scena finale in cui un ufficiale dell’Ovra propone al militante Emilio di diventare loro informatore, rivelandogli di essere stato utilizzato dalla direzione del Partito Comunista come un’esca, ed Emilio dà una risposta cruda che non ammette repliche, nella linea, appunto, della consapevolezza della possibilità del sacrificio connesso al proprio ruolo. È un inno alla fede cieca? All’obbedienza che mette a tacere lo spirito critico? No. Maselli è stato tutt’altro che un fideista ottuso. Non ha mai avuto dubbi sugli errori del Partito Comunista Sovietico, sull’assurdità del Muro di Berlino, dei fatti d’Ungheria e di Praga. Ma questo non intaccava quello che pensava del comunismo, così come la storia della Chiesa cattolica non intaccava la sua ammirazione per Cristo e la sua predicazione. Piuttosto: un invito a guardare oltre, a non perdersi se gli umani si perdono, a non ripudiare le idee solo perché malamente applicate.
Dopo gli anni Ottanta ci sono per Maselli altri film, lavori televisivi, la riduzione teatrale del film Codice privato per il Teatro stabile di Messina. Ci sono altre indignazioni e fredde arrabbiature: il conformismo che è più impressionante che mai, il processo di rimozione della storia del Partito Comunista Italiano, la censura che fa sì che di Rifondazione Comunista non si parli nei telegiornali se non accennando genericamente a una “sinistra estrema”. Soprattutto, e prima di tutto, c’è la constatazione amara che la società raccontata ne Gli indifferenti non sia affatto cambiata, che quella società che esisteva durante il fascismo e in pieno consenso al fascismo è fondamentalmente uguale a quella di oggi. E allora, Citto, che si fa? «Un mondo diverso è possibile», rispondeva lui, citando il titolo del documentario sulla contestazione al G8 di Genova, di cui era stato sceneggiatore e aveva curato la supervisione. Dalla parte dei giovani, perché giovane come loro, sempre. Mai ex.
La redazione del Riformista si unisce al dolore di Stefania Brai, compagna, collega e giornalista che per più di mezzo secolo è rimasta accanto al suo amato Citto.
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