Cosimo Di Lauro era ‘F1‘. Il primo di dieci figli maschi di Paolo, il superboss di Scampia e Secondigliano che Luigi Giuliano soprannominò “Ciruzzo ‘o milionario” perché si presentò una sera, a fine anni ’80, in una bisca di Napoli con i soldi che gli fuoriuscivano dalla tasche. Era etichettato “F1” nei libri ‘contabili’ della famiglia camorristica che per decenni ha imbottito di droga l’area nord del capoluogo partenopeo, facendo diventare Scampia la più grande piazza di spaccio a cielo aperto d’Europa e ispirando serie, film e libri dopo l’esplosione della faida contro gli Scissionisti avvenuta nel 2004 ‘grazie’ proprio al delirio di onnipotenza di Cosimino e dei suoi fratelli (Vincenzo, Ciro, Marco, arrestato nel 2019 dopo oltre 14 anni di latitanza, Nunzio).
Nato l’8 dicembre 1973, Cosimo Di Lauro è morto a 48 anni nella notte tra domenica e lunedì (12-13 giugno) nel carcere milanese di Opera, dove era ritenuto da tempo in regime di 41 bis. Il decesso stato comunicato attraverso una Pec al legale Saverio Senese questa mattina, pec nella quale veniva specificato che la morte era sopraggiunta alle 7.10. Le cause non sono state rese note ma, secondo le prime informazioni raccolte, sarebbe stato stroncato da un malore. Una morte per cause naturali ma sarà l’autopsia a far luce su tutto. In passato più volte i suoi legali avevano chiesto una perizia psichiatrica (istanza sempre rigettata dai giudici). Cosimo, secondo gli avvocati, da tempo rifiutava contatti all’interno del carcere. Rifiutava di sottoporsi a visite mediche e di presentarsi al colloquio mensile con parenti e, appunto, legali. Ma per gli inquirenti non era pazzo ma stava solo simulando per ottenere qualche agevolazione in gattabuia, considerati i numerosi anni di carcere che doveva scontare in regime di 41 bis.
“Ormai non rispondeva alle domande, era sempre sporco, assente; sin dall’inizio ho sempre avuto la sensazione che fosse uno squilibrato” riferisce l’avvocato Senese all’Ansa che dice di aver avuto l’ultimo contatto con il suo cliente quasi dieci anni fa quando era recluso nel carcere di Rebibbia. “Durante i colloqui mi fissava – ricorda Senese – ma dava la sensazione che non fosse in grado di comprendere. L’autorità giudiziaria riteneva stesse fingendo. Se così è stato allora era anche un grande attore…”. Nel 2015 venne presentata una denuncia al Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) ed al garante dei detenuti proprio per mettere in evidenza l’immobilismo delle autorità competenti nei confronti del suo stato di salute che, secondo una perizia di parte, era affetto da una grave patologia psichiatrica. Arrestato nel gennaio del 2005, Cosimo Di Lauro è stato ritenuto colpevole, anche attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, di numerosi omicidi: è stato condannato a più ergastoli (alcuni non definitivi).
Per il garante dei detenuti di Milano, Franco Maisto, “non abbiamo mai seguito la sua vicenda perché non è mai arrivata nessuna richiesta da parte dei suoi familiari o dei suoi legali. Ho controllato nel mio ufficio e da quando era a Milano non ce ne siamo mai occupati”.
Secondo i suoi legali Cosimo “aveva turbe psichiche, allucinazioni, rifiutava la terapia, non voleva incontrare i familiari” e, quando richiesero nel 2018 una perizia psichiatrica spiegarono che “assume dosi massicce di psicofarmaci somministrati da anni come a un paziente psichiatrico”. In una perizia di parte visionata dall’Agi e relativa a al 15 gennaio 2008, veniva spiegato che “le attuali condizioni di salute, lungi dall’essere nate improvvisamente o per effetto di una simulazione, ma siano piuttosto il risultato Di un lento processo”. I medici elencavano ansia, disturbi mentali e comportamenti bizzarri “come ridere a crepapelle anche nel cuore della notte”. Comportamenti che andavano avanti dal 2007 e sono degenerati nel corso degli anni anche perché, come spesso capita nelle carceri italiane, non curati con tutte le misure necessarie.
La storia criminale: dalla reggenza del clan all’arresto e la rivolta
A lui il padre Paolo, latitante dal 2002, aveva affidato le redini del clan, in virtù di una semplice regola di famiglia: “Comanda il figlio più grande in libertà, anche se latitante”. Ma la sua gestione troppo accentratrice iniziò a creare malumori tra i colonnelli e fedelissimi di Paolo Di Lauro che portò poi nell’ottobre del 2004 allo scoppio della prima faida di Scampia tra i Di Lauro e gli Scissionisti guidati da Raffaele Amato e Cesare Pagano e foraggiati dai gruppi Marino, Abbinante, Notturno, Abete. Faida che iniziò con il duplice omicidio di Fulvio Montanino (braccio destro di Cosimo) e Claudio Salierno il 28 ottobre 2004. E che andò avanti, tra il 2004 e il 2005, provocando in appena sei mesi oltre 60 omicidi, tra i quali anche quelli di persone che con la criminalità organizzata non c’entravano nulla (Antonio Landieri, Gelsomina Verde, Attilio Romanò).
Il 21 gennaio 2005 Cosimo Di Lauro venne arrestato nel Rione dei Fiori di Secondigliano, fortino del clan ribattezzato ‘Terzo Mondo’. I carabinieri nello scortare il boss in auto dovettero far fronte alla reazione dei residenti, soprattutto donne, che scesero in strada in segno di protesta mentre altri dal balcone lanciarono oggetti contro le forze dell’ordine. Una protesta dal duplice significato: dimostrare la fedeltà al clan, all’epoca in guerra con gli Scissionisti, e dimostrare che non erano stati loro a tradirlo e a fornire informazioni utili alla cattura. A poca distanza, i rivali festeggiarono la notizia dell’arresto con l’esplosioni di numerose batterie di fuochi d’artificio.
Durante la prima faida voluta dai Cosimo e dai suoi fratelli, che all’epoca affidarono numerose piazze di spaccio ai propri fedelissimi, scontentando i senatori del clan, si moriva anche per uno sguardo o per una parentela lontana o perché “nessuno poteva commettere omicidi senza essere autorizzato dal capo del clan Di Lauro”. Secondo le dichiarazioni del pentito Salvatore Tamburrino, fedelissimo del clan Di Lauro e uomo di fiducia di Marco durante la sua lunga latitanza (fu lui a provocare quelle ‘fibrillazioni’ che il 2 marzo 2019, dopo il femminicidio della moglie Norina Matuozzo, portarono all’arresto del boss, quarto figlio di Ciruzzo ‘o milionario, latitante da quasi 14 anni e stanato in un’abitazione di Chiaiano), Cosimo durante la faida “più persone si uccidevano più era contento…“.