Era un uomo di parte, certo che sì, e non faceva nulla per nasconderlo. Parteggiava per i più deboli, gli esclusi, i diseredati della Terra. Ma mai, mai, ha scambiato il bisogno di giustizia con un desiderio di vendetta. La sua rivoluzione è stata il perdono. Ma per Desmond Tutu, arcivescovo emerito di Johannesburg, premio Nobel per la Pace, perdonare non ha mai significato cancellare la memoria. Perdonare, per lui, non era sinonimo di dimenticare. Era qualcosa di altro, d’immensamente più grande e nobile. Il perdono come leva della riconciliazione. Una riconciliazione che non mette sullo stesso piano vittime e carnefici, ma che concede a quest’ultimo la possibilità di redimersi, e ai primi di sentirsi finalmente liberi. Da tutto. Anche dall’odio.
Primo arcivescovo nero di Città del Capo, tra gli altri riconoscimenti internazionali ha ricevuto il premio Albert Schweitzer per l’Umanitarismo nel 1986; il premio “Pacem in Terris” nel 1987; il premio per la Pace di Sydney nel 1999; il premio per la Pace Gandhi nel 2007; la Medaglia presidenziale per la Libertà (Usa) nel 2009 e il premio Templeton nel 2013. Nemico giurato dell’apartheid, Tutu ha lavorato instancabilmente, in modo non violento, per la sua sconfitta. Il prelato dalla voce schietta usò il suo pulpito come primo vescovo nero di Johannesburg e in seguito arcivescovo di Città del Capo, nonché frequenti manifestazioni, per galvanizzare l’opinione pubblica contro l’iniquità razziale sia in patria che a livello globale. Era nato il 7 ottobre 1931 a Klerksdorp, una città a ovest di Johannesburg. Suo padre era un insegnante, la mamma faceva la cuoca in un istituto per ciechi.
Tutu è diventato insegnante prima di entrare al St. Peter’s Theological College di Rosetenville nel 1958 per la formazione sacerdotale. Fu ordinato sacerdote nel 1961 e sei anni dopo divenne cappellano dell’Università di Fort Hare. Si trasferisce nel minuscolo regno dell’Africa meridionale del Lesotho e di nuovo in Gran Bretagna, poi Tutu torna a casa nel 1975. Diventa vescovo del Lesotho, presidente del South African Council of Churchese, nel 1986, primo arcivescovo anglicano nero di Cape Town. Fu arrestato nel 1980 per aver preso parte a una protesta e in seguito gli fu confiscato il passaporto per la prima volta. Ha recuperato il documento per effettuare viaggi negli Stati Uniti e in Europa, dove ha tenuto colloqui con il segretario generale delle Nazioni Unite, il Papa e altri leader della chiesa. Alcune prese di posizione dell’arcivescovo furono contestate dai suoi superiori, come per esempio quella in difesa degli omosessuali (“Non potrei venerare un Dio omofobo”, disse), quella per il diritto all’aborto o quella più recente in sostegno dell’eutanasia: “Le persone in punto di morte dovrebbero avere il diritto di scegliere come e quando lasciare la Madre Terra – aveva scritto sul Washington Post nel 2016 – mi sono preparato alla mia morte e ho chiarito che non desidero essere tenuto in vita a tutti i costi”.
Tutu è sempre stato considerato un uomo di fede, ma anche di parole, in grado di veicolare i suoi valori e le sue indignazioni. “Siate gentili con i bianchi, hanno bisogno di voi per riscoprire la propria umanità”, disse nell’ottobre 1984, nel momento peggiore dell’apartheid. Pochi mesi dopo, in un discorso in cui chiedeva sanzioni contro il suo Paese, affermò: “Per l’amore di Dio, ci sentiranno i bianchi? Sentiranno ciò che cerchiamo di dire loro? L’unica cosa che chiediamo è che riconoscano anche noi come esseri umani, perché quando ci feriscono sanguiniamo e quando ci fanno il solletico ridiamo”. Alla fine degli anni Novanta, gli fu diagnosticato un tumore alla prostata. Ridusse gli impegni pubblici e si dedicò con maggiore assiduità alla famiglia, ma non mancò di criticare l’ANC e di continuare a interessarsi di politica internazionale. Nel 2015 avviò un’iniziativa per chiedere ai presidenti e capi di governo del mondo di aderire a un piano per passare alle fonti di energia rinnovabile entro 35 anni, per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Tra le tante frecce che aveva al suo arco, oltre a quella del coraggio, ce ne è una che ha utilizzato più volte e su palcoscenici storici diversi. L’arma dell’humour. Un humour ficcante senza mai essere fuori dalle righe.
Il coraggio delle idee lo ha portato anche a scontri che hanno lasciato in lui ferite mai del tutto rimarginate. Come quella con Israele. A chi scrive, regalò un’amara confessione: “Trovo profondamente ingiusta questa accusa (essere anti-israeliano, ndr) che provoca in me un sentimento di dolore. Per mia fortuna, posso annoverare tra i miei più cari amici persone di fede ebraica. E così vale per tanti cittadini israeliani. Io non ho mai messo in discussione il diritto di Israele a vivere all’interno di frontiere sicure. Ma questo non giustifica ciò che Israele ha fatto e continua a fare a un altro popolo per garantire la propria esistenza. Le mie visite in Terrasanta sono state per me un viaggio nel passato, un doloroso viaggio nella memoria, nel dolore. Ha riaperto antiche ferite. Nell’umiliazione dei palestinesi ai check point ho rivisto ciò che noi neri provavamo in Sudafrica quando un ufficiale ti impediva di passare. Un’umiliazione sistematica, quella praticata da membri delle forze di sicurezza israeliane, che non risparmia neanche le donne e i bambini. Ho visto madri pregare inutilmente per potersi recare in un villaggio vicino per poter assistere gli anziani genitori impossibilitati a muoversi. Quei check point, assieme al Muro, isolano villaggi, spezzano comunità; quei check point sono l’espressione di un dominio che segna la quotidianità di decine di migliaia di palestinesi. Li prostra, li umilia. Essi mi riportano indietro nel tempo, al Sudafrica dell’apartheid ”.
La più grande delusione gli venne da coloro che gli erano stati compagni di lotta ai tempi dell’apartheid. Tutu non ha mai risparmiato critiche neanche alla classe politica nera, arrivando a condannare pubblicamente la “mentalità dei soldi facili” del partito di Mandela, l’African National Congress (Anc). Negli ultimi anni ha più volte accusato il partito di non aver fatto abbastanza per alleviare la povertà e di aver favorito la concentrazione della ricchezza in una nuova élite politica nera. Per questo fu oggetto di attacchi velenosi, fu dipinto come un vecchio rimbambito, ma lui reagì sempre con la sua arma migliore: l’humour.
Parlando di Nelson Mandela, Tutu ebbe a dire: “Non sono pochi nella Storia a essere ricordati come vincitori. C’è chi ha condotto rivoluzioni, chi ha sconfitto il nemico sul campo. Ma in pochi hanno saputo coniugare vittoria e giustizia. Nelson è tra questi pochi. Per questo, soprattutto per questo, è stato un grande. Non solo per come ha combattuto ma per come ha saputo vincere. Con lo spirito di giustizia, mai di vendetta”.