Tra la fine di quest’anno e l’inizio del nuovo la Chiesa di Acerra, in Campania, promuove diverse iniziative per ricordare Antonio Riboldi, vescovo dal 1978 al 1999. Il 10 dicembre ricorre il quinto anniversario dalla morte; il 16 gennaio 2023 è il centenario della nascita. Il nostro ‘don Antonio’, come amava farsi chiamare, è stato un profeta in senso biblico, perché ha dato speranza a un popolo aiutandolo ad alzare la testa, in particolare i poveri, i deboli e i ‘senza tutto’ come li chiamava lui. Lo ha fatto anzitutto con la Parola, l’annuncio del Vangelo, e con la denuncia profetica. «Insieme con i vescovi campani contribuì nel lontano 1982 a quello storico documento programmatico da cui è partito il cammino nelle nostre Chiese della Campania, “Per amore del mio popolo non tacerò” redatto soprattutto da lui», ha ricordato nel giorno dei funerali il vescovo attuale, mons. Antonio Di Donna. E adesso la parabola umana, sociale, politica, ecclesiale di ‘don’ Antonio Riboldi è raccontata con particolari e testimonianze di prima mano da Pietro Perone, caporedattore de Il Mattino in un libro edito da San Paolo (Don Riboldi 1923-2023 Il coraggio tradito, San Paolo, pagg. 223 euro 18).

Il racconto inizia nel novembre 1982, quando in diecimila marciano dietro al vescovo di Acerra, mons. Riboldi. Manifestano con lui gli studenti, contro la Camorra e contro il suo potere. Il 1982 è l’anno della faida tra la Nuova Camorra di Cutolo e la Nuova Famiglia. I morti ammazzati sono quasi trecento. La voce del vescovo in quegli anni arrivava e si faceva sentire in Parlamento, in dialogo (e in polemica) con i politici, faccia a faccia con i criminali che volevano imporre la loro autorità su ogni aspetto della vita sociale. La lotta di mons. Riboldi fu un successo? Non del tutto, però ha avviato una presa di coscienza indispensabile per i successi giudiziari contro la Camorra, ma è rimasta inascoltata per quello cui don Riboldi teneva di più: voleva una riforma del vivere civile di Acerra, di Napoli, di tutta la Campania. Il bilancio del libro, in fondo, è amaro, perché i problemi di allora restano aperti oggi. Tuttavia il grande pregio del lavoro è di far conoscere l’azione e l’opera di don Riboldi alle nuove generazioni. Già i dati essenziali della biografia indicano la straordinarietà della persona. Era nato a Truggio, vicino Milano.

Diventato sacerdote, entrato nella congregazione religiosa dei Rosminiani, aveva passato qualche anno come viceparroco nei Castelli Romani e quindi nel 1968 era stato inviato in Belice come parroco, in mezzo ai terremotati. Lì in Belice aveva avviato quell’azione pastorale portata a compimento in Campania, nel dare voce a chi voce non ha. Dovunque si trovasse, don Riboldi accendeva un faro sulle situazioni più scottanti e promuoveva processi e percorsi di solidarietà e cambiamento. Come si vede bene a partire dal 1978. In quell’anno Paolo VI lo nomina vescovo di Acerra, mettendo termine a una sede vacante lunga 12 anni. Da qui il piglio deciso di un’azione pastorale che affronta i problemi sociali di una zona infettata dalla camorra: il libro descrive le situazioni e le persone con particolari, con dettagli, facendo letteralmente immergere il lettore nelle vicende di quel pezzo di Italia. Dirompente la capacità del vescovo Riboldi di parlare ai fedeli della sua diocesi che non è proprio dalla sua parte, ai parroci, alle autorità politiche dell’Italia di allora, compresi i sindacalisti e i partiti politici di governo e di opposizione. Erano gli anni della DC e del Partito Comunista, di Martinazzoli e di Berlinguer. I vescovi della Campania nel 1982, come ho ricordato all’inizio, pubblicarono un forte documento di denuncia (“Per amore del mio popolo non tacerò”, 29 giugno 1982) e come scrive nella prefazione al volume l’attuale vescovo di Acerra, mons. Antonio Di Donna, proprio quel testo ha ispirato, negli anni seguenti, l’azione di don Peppino Diana e di altri parroci di Casal di Principe.

Cosa rimane? Il giudizio dell’autore del libro si riassume nel sottotitolo del volume – il coraggio tradito – e nel capitolo dodicesimo – l’urlo nel cassetto – ovvero l’amara considerazione che se tanto è stato fatto per sensibilizzare, per denunciare, per provare a cambiare, la Chiesa e la società italiana nel suo complesso – eccezioni a parte – non hanno però saputo, potuto o voluto arrivare fino in fondo. Eppure l’esempio di don Riboldi ha portato risultati senza precedenti. La storia del vescovo si inscrive nella più generale storia della lotta al crimine organizzato. Nel 1984 arriva il pentimento di Buscetta e a Palermo si apre la stagione dei processi e degli attentati. Per quanto riguarda don Riboldi, il 1986 è l’anno in cui Raffaele Cutolo, in carcere ad Avellino, chiede di incontrarlo e avviare un dialogo di coscienza, che fa rumore perché la “cura d’anime” riesce a incidere anche sui criminali più incalliti. Dunque l’impegno costante del vescovo riesce a scalfire, ad incidere, porta un sussulto, a livello individuale. Ben altro è riuscire a provocare un terremoto collettivo. E infatti la visione amara di Petrone è raccolta in poche frasi, alla fine del libro: «Nel solco di don Riboldi, pezzi della Chiesa restano in trincea, ma dietro di loro, rispetto agli anni Ottanta, c’è solo il deserto che avanza. E se un tempo una parte della politica, insieme con il sindacato, era alleata di chi voleva combattere lo strapotere dei boss, ora è disattenta e contribuisce con le proprie mancanze a scavare solchi profondi che acuiscono la rassegnazione».

In mezzo c’è la trasformazione della criminalità organizzata, cui assistiamo giorno per giorno in questi 40 anni di storia raccontati dal libro. «A Ottaviano – scrive ancora Perone da decenni non comandano più gli eredi di Cutolo, ma il loro posto è occupato dal clan Fabbrocino che fa affari, oltre che con stupefacenti, estorsioni e usura, con attività imprenditoriali e riciclaggio di denaro sporco. A Somma Vesuviana, da dove partì la storica marcia, i clan De Bernardo e D’Atri sono i ‘portavoce’ dei Mazzarella e dei Cuccaro di Napoli. Brilla per l’immutabilità mafiosa Torre Annunziata, dove sono attivi da oltre cinquant’anni i clan Gionta e Gallo-Cavalieri, contro i quali solo di recente si oppone un nuovo gruppo he si è denominato ‘Quarto Sistema’. A Castellammare, il Comune è stato sciolto per inflitrazioni mafiose (…). Ad Afragola risultano profondamente radicati i clan Polverino, Mallardo e Moccia, quest’ultimo protagonista della trattativa per la dissociazione avviata nel ’94 da don Riboldi. (…) Anche ad Acerra nulla è cambiato: la Dia segnala che a contendersi gli affari criminali sono i resti del clan Nuzzo e ogni tanto ci scappa un assassinio o una sparatoria stile Far West tra giovani che girano ‘normalmente’ armati, mentre a tre chilometri di distanza, a Cardito, comanda il gruppo Pezzella alleato con i Ciccarelli del parco Verde di Caivano, la periferia del mondo» (p. 211-212).

Però la Chiesa c’è, oggi tra l’altro con il successore di don Riboldi, appunto mons. Di Donna, e con l’arcivescovo di Napoli mons. Battaglia. Il pregio del libro è di accendere un luminoso faro sui legami e le trasformazioni tra ieri ed oggi in questo pezzo d’Italia che si chiama Campania. È una terra segnata dall’illegalità ma anche dalla presenza di straordinarie risorse umane e altrettanto straordinarie sfide per uno Stato e una Chiesa che vogliano essere credibili e davvero vicini alle persone. Non a caso – nonostante tutto – non sono dimenticate le parole che don Riboldi rivolgeva durante quella grande marcia del 1982, ai politici, ai giovani, a tutti i partecipanti, ai quali tutti citava il profeta Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa». Che fare allora? La risposta va cercata in un’espressione cara a don Riboldi: “organizzare la speranza”. Parole attualissime che contengono tutto: politica, religione, società, economia, territorio, denuncia, azione, visione del futuro.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).