"La vita è una musica meravigliosa"
Chi era Ezio Bosso: la storia del direttore d’orchestra, pianista e compositore in “Le cose che restano”

Ascoltando Beethoven di nascosto, all’età di cinque anni, aveva sognato di dirigere un’intera orchestra. Ezio Bosso aveva raccontato in un’intervista a La Stampa che il suo sogno era più o meno questo: che un’orchestra gli chiedesse di fare tutto Beethoven. E ci è riuscito a realizzare i suoi sogni, tanti dei suoi sogni. Nonostante la fatica e la sofferenza di una malattia neurodegenerativa, è diventato un esempio, una fonte di ispirazione per tanti.
Bosso è rimasto, spesso e volentieri citato. Era direttore d’orchestra, compositore e pianista. Morto a 48 anni a causa di una gravissima malattia neurodegenerativa. A due anni dalla sua scomparsa, in piena prima prima ondata da coronavirus, la sua grande storia artistica e umana andrà in onda su Rai3, in prima serata, il 19 maggio. Grazie a Ezio Bosso – Le cose che restano, il docufilm scritto e diretto dal regista Giorgio Verdelli e presentato in anteprima nella sezione Fuori Concorso della 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Bosso era nato a Torino il 13 settembre 1971. Aveva vissuto in Borgo San Donato, quartiere operaio e zeppo della storia migrante della città. Avrebbe raccontato come la sua era “la sola famiglia piemontese in tutto il caseggiato”. Si avvicinò alla musica già a quattro anni grazie a una prozia pianista e al fratello musicista. Per circa un anno e mezzo fu il cantante del gruppo Statuto, con il nome d’arte Xico. Studiò al conservatorio ed esordì da solista a 16 anni in Francia cominciando a girare con le orchestre europee. La svolta artistica arrivò con l’incontro con Ludwig Streicher che lo indirizzò allo studio di Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna.
Fu operato nel 2011 per l’asportazione di una neoplasia cerebrale. E fu colpito da una sindrome autoimmune neuropatica. La diagnosi, inizialmente sbagliata, fu di Sclerosi Laterale Amiotrofica nota come SLA. Le sue condizioni peggiorarono fino a quanto nel 2019 fu costretto a cessare l’attività di pianista essendo ormai compromesso l’uso delle mani. Morì a Bologna, dove viveva, il 14 maggio 2020. I suoi resti furono cremati e le ceneri tumulate nel Cimitero Monumentale di Torino.
Bosso era ormai un personaggio noto al grande pubblico: spesso intervistato, mai banale, un punto di riferimento artistico e civile, un modello d’ispirazione come si accennava. Era diventato ulteriormente noto al grande pubblico dopo l’esibizione al Festival di Sanremo nel 2016. Nella sua carriera aveva suonato in molto concerti internazionali in eventi e sale da concerto prestigiose, come la Sydney Opera House, la Carnegie Hall di New York, il Teatro Regio di Torino, il Teatro Colón di Buenos Aires. E aveva diretto numerose orchestre, tra cui la London Symphony, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli; dal 2017 al 2018 è stato direttore stabile del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.
È tutto questo e il resto che il docufilm ripercorre: le candidature al premio David di Donatello per le musiche di Io non ho paura e Il ragazzo invisibile; il Premio Flaiano conquistato due volte nel 2003 e nel 2005, consegnato a personalità che si sono distinte in ambito letterario, musicale, cinematografico, teatrale e radiofonico. A raccontare è lo stesso Bosso nel film, attraverso un lavoro minuzioso di ricerca tra le tante interviste audio e video che ha rilasciato nel tempo. E quindi gli interventi tra gli altri di Gabriele Salvatores, Enzo Decaro, Paolo Fresu e Silvio Orlando. Con la comparsa, per la prima volta, del brano inedito The things that remain.
Con orgoglio ve lo vogliamo ricordare:
Questa sera ore 21.20 su @RaiTre “Ezio Bosso: Le cose Che Restano” di Giorgio Verdelli.It’s never over.#eziobosso #ttr #lecosecherestano #Rai pic.twitter.com/DVC3WGaaqQ
— Ezio Bosso Official Page (@eziobosso) May 19, 2022
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