La scomparsa del giurista
Chi era Giuseppe Tesauro, un grande giutista che portò Napoli nel diritto europeo

Sarà dispiaciuto a Giuseppe Tesauro, tra l’altro grande appassionato di calcio e tifoso del Napoli, nonché melomane nel consiglio d’indirizzo del San Carlo, andarsene senza sapere se l’Italia di Mancini, con dentro tre campani finora determinanti per i successi della squadra, vincerà i campionati europei di calcio, a meno che le notizie non arrivino dove si trova ora in anticipo rispetto a quanto non accada qui: se così fosse, nulla quaestio, già saprà chi vincerà domenica la coppa.
Ne ho un ricordo da ragazzino: interessato a un articolo pubblicato sull’estinta Rassegna di diritto pubblico fondata dal padre, il costituzionalista, avvocato e politico democristiano Alfonso (all’università il numero c’era, ma mutilato proprio delle pagine a me utili, strappate da qualcuno in tempi in cui non esistevano ancora le fotocopie), mi presentai con l’ingenuità dei ventenni nel suo studio di piazza Nicola Amore e chiesi di leggere dalla copia della collezione che immaginavo avesse, offrendo persino, da gaffeur, di acquistarne un’eventuale copia in più, se ne disponesse. Mi guardò con un sorriso complice da monello, da adulto che tornava a essere il poco più che adolescente che ero allora e mi disse: «Non ti preoccupare, leggi intanto dalla mia, poi se ne trovo un fascicolo in più te lo regalo». Con quest’aria ironica e autoironica ha dominato, ricco di autorevolezza non cercata, ma spontaneamente riconosciutagli, l’accademia, le Corti, i consessi dei potenti della politica e dei colleghi, risolvendo con apparente semplicità questioni intricatissime che, prima di finire nei libri, richiedevano di essere sbrogliate dal suo tocco.
La sua famiglia era originaria di Bellosguardo, dove si contendeva allori con l’altro compaesano Salvatore Valitutti, gentiluomo liberale poi ministro della Pubblica Istruzione. Lui era però nato a Napoli, da una madre lettone e, mentre gli zii spadroneggiavano a Medicina (uno ginecologo e rettore, un altro chirurgo) e un cugino, terrore degli studenti, era costituzionalista a Giurisprudenza, esordiva tra Catania e Messina da internazionalista, per poi tornare a Napoli a Scienze Politiche e approdare infine a Economia alla Sapienza. Nella seconda fase della vita spuntò l’uomo delle istituzioni, prima avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, poi presidente dell’Antitrust, infine giudice e presidente della Corte Costituzionale.
Suoi allievi o altri, che ho sentito, ne ricordano l’ansia di scindere dal diritto internazionale quello dell’Unione europea, di cui è stato un padre fondatore, e la spinta, in ogni ruolo ricoperto, a letture innovative di scarne norme scritte da parte della giurisprudenza che di volta in volta ispirava: Fabio Ferraro (che con Patrizia De Pasquale ne ha aggiornato un manuale che tutti gli studenti della materia conoscono) cita, tra molte, le sentenze europee sulla responsabilità risarcitoria degli Stati e sulla sospensione cautelare di leggi in contrasto con il diritto comunitario; il giuscommercialista Giuseppe Guizzi le battaglie contro cartelli e abusi di posizione dominante; Giovanni Pitruzzella, suo successore all’Antitrust e all’avvocatura della Corte di giustizia dell’Unione europea, ne sottolinea l’impronta decisiva nelle due istituzioni e ne rimpiange l’umanità. Io stesso rammento la sentenza della Consulta sull’obbligo tedesco di risarcire i danni di guerra alle vittime italiane del nazismo o quella sull’apertura alla fecondazione eterologa e si dovrebbe continuare.
Quando se ne va un uomo così, la retorica impone di asserire che si è perduto un grande. Nel suo caso sarebbe semplicemente la verità, anche per la stazza fisica ragguardevole. Ma, a leggerlo, sorriderebbe, come gli vidi fare nel suo studio quando ero giovanissimo e osserverebbe con malinconia di essere stato davvero a suo agio solo nel buen retiro di Scario, dove amava passare pigre giornate estive a guardare il mare, a pescare e a cucinare personalmente quanto riusciva a tirare su, come aveva confessato con la consueta autoironia.
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