Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923. In una famiglia borghese e benestante. I genitori si trasferirono a Milano, negli anni Trenta, e poi si sposarono con rito cattolico, sebbene fossero ebrei, per sfuggire al razzismo e alle leggi razziali che stavano per arrivare. Lorenzo si convertì al cattolicesimo nei primi anni Quaranta e iniziò la sua vita da prete (in Toscana) che diventò quasi subito vita da prete del dissenso. Entrò spesso in conflitto con il suo vescovo (si chiamava Florit il vescovo di Firenze) e anche con il Vaticano. Don Milani costruì il suo insegnamento su due o tre capisaldi: la nonviolenza, la lotta contro le diseguaglianze, il diritto allo studio e al sapere. Nel 1954 fu mandato per punizione a fare il prete in un paesino minuscolo del Mugello, a Barbiana. Lì lui fondò la famosa scuola di Barbiana, dove raccoglieva tutti i ragazzi poveri della zona, e che diventò un esempio di scuola fondata su principi opposti alla scuola di classe. Suscitò molte polemiche. Fu attaccato duramente da molti, compreso Montanelli. Scrisse un libro, insieme ai suoi giovani allievi, che aveva questo titolo: “Lettera a una professoressa”. Diventò la base teorica e ideale di almeno un pezzo della rivolta giovanile del ‘68 contro la scuola di classe.

Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera ai cappellani militari che avevano polemizzato in modo sprezzante contro gli obiettori di coscienza (al servizio militare). Milani sosteneva che l’obiezione di coscienza è un valore e intitolò la lettera “L’obbedienza non è più una virtù”. Gli fu difficile trovare un giornale dove pubblicarla, alla fine accettò l’offerta di Luca Pavolini, direttore di Rinascita, che era lil settimanale del Pci. Per quella lettera finì sotto processo per vilipendio e apologia di reato. Fu assolto in primo grado, nel 1967, ma il Pm andò in appello. Milani morì di tumore il 26 maggio del ‘67. Pavolini, l’anno successivo, fu condannato a cinque mesi di prigione.

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