Lo sanno proprio tutti che oggi Lucio Dalla, se non fosse stato stroncato da un infarto a Montreux il primo marzo 2012, compirebbe 80 anni. Merito della occhiuta censura dell’eterno Sanremo: quando nel 1971 si trovarono sul tavolo un pezzo intitolato Gesù bambino, con testo della futura storica dell’arte Paola Pallottino su musica di Dalla, i controllori fecero una serie di salti sulla sedia. Testo inconcepibile: “E ancora adesso che gioco, rubo e bevo vino per i ladri e le puttane sono Gesù bambino”: neanche a parlarne.

I censori cambiarono una strofa via l’altra e anche il titolo empio fu considerato inaccettabile. La canzone fu ribattezzata con la data di nascita del cantante, 4/3/1943. Spopolò a Sanremo e nei negozi di dischi, trasformò Lucio in una superstar. Non che fosse uno sconosciuto. Era anzi già un veterano con quasi 15 anni di carriera alle spalle, presenza fissa a Sanremo e al Cantagiro, l’altra grande sagra della canzone dell’epoca. Era anche “nipote d’arte” ma zio Ariodante Dalla, detto Dario, che pure tra i ‘40 e i ‘50 era stato piuttosto famoso, chi se lo ricordava più?

Nato a Bologna, orfano di padre a 7 anni, sbattuto subito dopo in un collegio di preti a Treviso da mamma Jole, convinta che fosse un genio e non aveva tutti i torti, Lucio era cresciuto studiando poco e suonando molto: un virtuoso del clarinetto, che aveva imparato a padroneggiare da solo già a partire dai 10 anni, in grado presto di duettare con una leggenda della tromba come Chet Baker, allora di stanza a Bologna. In una delle band jazz in cui suonò da adolescente c’era anche Pupi Avati, il regista che giusto qualche giorno fa ha scatenato la solita ondata di polemiche stonate avanzando il dubbio che l’omosessualità di Lucio fosse conseguenza di una cura ormonale a cui fu sottoposto da bambino nella speranza di regalargli qualche centimetro. Ci guadagnò invece solo parecchi peli in più e, e secondo la bizzarra ipotesi del regista, un cambio di identità sessuale che peraltro il diretto interessato non ammise mai apertamente.

Non perché se ne vergognasse ma perché, come disse in una celebre intervista del 1979, «fare delle dichiarazioni di voto mi sembra ridicolo. Io non appartengo a nessuna sfera sessuale». Del resto, nonostante le canzoni politicissime scritte da Roberto Roversi nella prima metà dei 70, rifiutava anche le”dichiarazioni di voto” politiche. «Sono un uomo abbastanza appartato anche a livello di sentimenti. Sono solo perché lo voglio essere, organizzo il mio mondo strettamente e forse malinconicamente ma con coraggio, molto vicino al mondo del lavoro per cui il fatto stesso di comunicare alla gente, a tanta gente, è una esemplificazione di tante tensioni», diceva di se stesso e quella solitudine appartata, la scelta di comunicare attraverso l’arte invece che con i comizi a mezzo stampa e le dichiarazioni stentoree, è ancora una delle chiavi principali per capire l’uomo e il musicista.

Raffinato jazzista, Lucio Dalla non disdegnava le canzonette. I Flipper, la band che aveva formato con Franco Bracardi e il grande Massimo Catalano, “quello della notte”, oltre che con la loro musica sbarcavano il lunario facendo da supporto a Edoardo Vianello nelle canzoni dell’estate tipo la famosissima I Watussi. Poi Gino Paoli lo sentì cantare, lo convinse a battere la strada del solista. A Sanremo 1966 presentò Pafff… Bum, un pezzo surreale in coppia con gli Yardbids, l’olimpo del rock, in quel momento con Jeff Beck alla chitarra, l’anno dopo ci riprovò con I Rokes, Bisogna saper perdere. Lucio a metà si lanciò in un “miao miao” da gatto che per un po’ diventò: “quello che miagola”. Era un cantante di medio successo ma molto popolare, non notarlo era impossibile.

Appariva fuori dal comune persino in un momento in cui essere fuori dal comune era la norma. Riusciva a essere eccentrico anche quando non esisteva più alcun centro. Chissà se sono vere le voci secondo cui gli capitava di girare con ciliege intorno alle orecchie oppure portando al guinzaglio una gallina: probabilmente no ma conta poco, erano verosimili. Tutto in Dalla era particolare: lo stile trasandato non per finta, il modo di cantare con ampio uso dello scat, roba che in Italia allora la sentivi solo nei pezzi di Ella o Louis Armstrong, i testi che non scriveva da solo ma sembravano ed erano fatti apposta per lui.

4/3/1943 e poi l’anno dopo Piazza Grande, che contrariamente a quanto si crede non è Piazza Maggiore ma Piazza Cavour, resero Lucio una stella internazionale ma chiusero anche la lunga fase di cantante popolare, da Festival e Cantagiri. All’iniziò degli anni 70 sterzò bruscamente. Dopo l’incontro con il poeta Roberto Roversi imboccò il sentiero opposto, quello dell’avanguardia sul piano sia musicale che dei testi firmati da Roversi. I tre album di quei primi anni 70, per alcuni i suoi migliori, certo i più spericolati e politicamente combattivi,sono uno dei pochissimi casi nei quali la definizione sempre sospetta di “canzone d’autore” non significa solo un testo poetico ma anche sperimentazione musicale pura nonché un modello di canzone capace di essere radicalmente politica senza concedere niente alla retorica militante.

Il Lucio Dalla che tutti conoscono e di cui tutti ricordano le canzoni è nato dopo la rottura a metà anni 70 con Roversi, collaborazione che sarebbe risorta solo nel 1998 con la messa in scena dello spettacolo Enzo Re, musicata da Dalla. A partire dal 1977, con Come è profondo il mare, Dalla si è scritto da solo i testi, è diventato a tutti gli effetti un autore grandissimo e completo. Anche se il suo più grande successo, Caruso, oggi un classico della canzone mondiale, è arrivato molto dopo, anche se alcune delle sue canzoni più famose le avrebbe scritte nei decenni successivi, il picco Lucio Dalla lo ha raggiunto allora, a cavallo tra i 70 e gli 80, quando è riuscito a mettere in musica e in parole più di chiunque altro gli umori, i sentimenti, le paure, le speranze di un’intera epoca storica.

Lucio Dalla ha venduto milioni di dischi in tutto il mondo. Ha inaugurato con Francesco De Gregori, nel Banana Republic Tour del 1979, l’epoca dei concerti negli stadi: oggi pare strano ma prima di loro non era mai successo in Italia. Ha fatto teatro e curato opere liriche. Ha cambiato stile più volte. Ha collaborato con gli amici come Gianni Morandi e soprattutto l’eterno Ron, Rosalino Cellamare, autore di alcuni dei migliori pezzi di Dalla e probabilmente la persona a cui Lucio è stato più legato come amico e come musicista, nella sua vita.

È morto all’improvviso, stroncato da un infarto oltre 10 anni fa. Della cospicua eredità a quello che comunemente si ritiene essere stato il suo compagno (ma Ron smentisce), Marco Alemanno, non è andato niente. Difficile dire se sia stato il più grande musicista italiano degli ultimi decenni: di certo è l’unico di cui si possano identificare fasi e momenti creativi distinti, molto diversi tra loro, sempre eccellenti nel loro genere. Capita a pochi e solo ai veri artisti.