L'addio al conduttore e giornalista
Chi era Maurizio Costanzo, un ficcanaso discreto mangiafuoco della TV
Non c’è niente di peggio che cominciare un necrologio dicendo “lo conoscevo bene”. Eppure, è così per me e per tanti: Maurizio Costanzo lo conoscevo da tempi ormai lontani ma non irrecuperabili. Il suo merito unico che non ha uguali, saper costringere gli altri a raccontare sé stessi. La sua forma grafica, per così dire, era un logos vivente. Basso, grasso, testa e faccia tonda e dunque un marchio riconoscibile in maniera netta.
Un genio: si fa presto a dire che chiunque sia morto fosse un genio, ma Maurizio lo era perché era alimentato da una forma quasi patologica di ciò che rende grandi i veri grandi giornalisti: era curioso, impiccione, indiscreto e pettegolo ma sapendo amministrare queste sue caratteristiche con una intelligenza e una cultura che appartiene a un passato che oggi non esiste più. Chi l’ha conosciuta, quella cultura degli anni Settanta, l’ha conosciuta ma oggi è irrecuperabile: era quella di un mondo ormai spento sul quale allora brillavano gli astri di Mario Pannunzio del Mondo e di Ennio Flaiano, o del primo Fellini giornalista, poi le donne famose in vena di confidenze pruriginose. Ma un occhio sempre attentissimo alla politica. Esisteva un canale televisivo che si chiamava “Uomo tv”.
Costanzo ne era lo showman e intervistava personaggi di livello crescente. Intervistò un ancora rampantissimo e aggressivo Giulio Andreotti, il cui soprannome, non a caso era “Divo Giulio”. Non sapevi mai bene chi dei due fra intervistatore e intervistato, fosse di più in grado di ingannare l’altro. E in questo consisteva lo spettacolo e il piacere dello spettatore che era lusingato dall’assistere a un incontro segreto fra due che sapevano la verità, ma non te la volevano dire. L’ultima domanda di chiusura di quel primo Maurizio ai suoi ospiti era sempre la stessa: che cosa c’è dietro l’angolo? Non era domanda banale, nei secondi anni Settanta e poi negli Ottanta. Il sapore ormai perduto della guerra fredda anche nelle sue manifestazioni retoriche e antropologiche governava l’Italia e gli italiani.
Gli italiani sapevano che non avrebbero mai saputo la verità. C’erano state le stragi e altre ne sarebbero venute, c’erano scandali soffiati ed altri gonfiati, c’erano amori proibiti ed altri sfrontati, c’era la sensazione che qualcosa stesse per arrivarci tra capo e collo ma nessuno voleva dire esattamente che cosa pur sapendolo. Dietro l’angolo forse c’era quel futuro che poi abbiamo visto di sfuggita: la falsa fine della guerra fredda il vero al ritorno di una guerra calda. Ma questo apparterrebbe al passato. Quando fu scoperto che Costanzo era un bersaglio di Cosa Nostra, durante l’incredibile campagna terroristica sul continente, quando scoppiarono bombe a Roma e in altre città e si seppe che erano stati preparati attentati per uccidere Maurizio Costanzo e Claudio Martelli, ministro della Giustizia, tutti ci chiedemmo che senso poteva avere attentare alla vita di questo grande conduttore di talk show.
Scrissi sulla Stampa che un attentato contro Costanzo costituiva davvero una svolta epocale nella comunicazione mafiosa, qualcosa di incomprensibile e di incerta origine. Maurizio mi invitò al suo spettacolo e credo che quella sia stata l’ultima volta che ci siamo visti. Mi sembro più lusingato che preoccupato. Quando scoppiò lo scandalo per la loggia massonica P2 di Licio Gelli mi chiese di vederci a via Veneto per confidarmi qualcosa e ricordo che passeggiammo su e giù ma senza arrivare al punto. Mi chiese di vederci il giorno successivo ma fui spedito per un servizio ad Atene dove lessi la sua confessione: «Sono stato un cretino ma anch’io ero nella loggia massonica di Licio Gelli».
Aveva il potere inverso a quello dei grandi affabulatori: sapeva come far affabulare gli altri su sé stessi, perché tutti gli raccontavano tutto. E aveva quindi un potere corale e spettacolare, ma anche politico, unico perché era al corrente di tutto: dei partiti, dell’arte, del mondo dello spettacolo. La sua arte consisteva nel sapersi destreggiare fra gli intrighi altrui e tra i talenti, con la sua capacità di estrarre il meglio e il peggio degli ospiti, ma sempre l’inaspettato. Mise al mondo pubblico personalità che non erano alla ribalta. Personalmente, ricordo con il giorno in cui invitò al suo show me e mia figlia Sabina appena diplomata all’Accademia d’arte drammatica.
Maurizio incardinò su di noi una commedia sulle beffe ai politici di allora, ma più che altro il modo affettuoso con cui presentò al suo pubblico Sabina e me come inedita coppia di padre e figlia: venne fuori uno spettacolo che mi procurò fra l’altro il piacere di una straordinaria lettera di Pupi Avati. Costanzo era ed è rimasto fino all’ultimo un modernissimo Mangiafuoco che sapeva trasformare in spettacolo eventi ed esseri umani. Ma al tempo stesso era genialmente esperto dei giochi politici, sapeva navigare in un mare di squali senza farsi mai azzannare e quando Berlusconi acquisto la rete che lo conteneva lui si lasciò acquistare ma non esattamente comperare e in questo furono entrambi geniali, sia lui che Berlusconi perché riuscirono a sommare due diversi successi senza perdite ma anzi con grande vantaggio.
In genere Costanzo viene lodato moltissimo per il suo impegno antimafia che era certamente autentico. Dubito che la mafia soffrisse realmente del suo impegno civile. Quando fu indicato come obiettivo di un attentato con auto imbottita di tritolo davanti al Teatro Parioli, la teoria della guerra dichiarata allo Stato da Cosa Nostra fu fortemente promossa, per poi promuovere la successiva teoria della trattativa fra Stato e mafia, che ebbe probabilmente il potere di dirottare per anni l’attenzione da altri scenari di connubi mafiosi e politici. Era certamente un giornalista coraggioso e ieri anche Silvio Berlusconi, suo editore, gli ha dedicato un’epigrafe con queste parole. Vittorio Sgarbi ha detto che “è morto nostro padre”.
Ma benché fosse coraggioso e a tratti anche spavaldo nello sfidare forze occulte, la vera qualità che ha fatto di lui uno storyteller è che sapeva spingere i suoi ospiti a essere storyteller di sé stessi. Di conseguenza tutto il suo show è stato sempre vincente perché partendo dalla radio, il suo primo e forse più energico strumento di comunicazione, Costanzo ha sempre parlato tutte le lingue altrui facendo del suo teatro qualcosa di simile a quel che faceva Ennio Flaiano, di cui pure fu grande amico. E poi ha saputo parlare di amore e di sesso con grazia sfrontata e licenza di non conformismo.
La sua diffusione di un messaggio di non differenza negli atteggiamenti sessuali precede la banalità che oggi prevale nella materia fluid gender: in tempi non sospetti ebbe il coraggio di dire che se avesse avuto pulsioni sessuali verso un uomo non avrebbe esitato a seguirle. Muore con Maurizio Costanzo una figura che non ha mai avuto uguali in Italia; un maestro di comunicazione ma dotato dell’arte di comprendere e rispettare persino i pregiudizi altrui. Non era un educatore ma sapeva sia stare nel mainstream che uscirne fra gli applausi per poi rientrare.
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