Nel 1953, quando lo conobbi, io stavo entrando all’Università e lui si era da tempo laureato e stava cominciando l’itinerario della sua professione di avvocato. Mauro Mellini politicamente si era formato nell’Unione Goliardica Italiana di Marco Pannella, Franco Roccella, Sergio Stanzani e di tanti altri di noi, studenti universitari laici di quella stagione. Nel 1954 anticipò di un anno la scissione del Pli insieme a Pannella e a Giovanni Ferrara, fondando insieme a loro la Giovane Sinistra Liberale, aperta anche ai laici che, come me, non provenivano dalla GLI ma da un altro o da nessun partito. Nel 1955 fu, con tutti noi, fra i fondatori del Partito Radicale.

Mauro Mellini è stato uno degli indiscutibili protagonisti della rivoluzione culturale prima che politica e legislativa dei diritti civili. Fu con Marco e con Loris Fortuna, uno dei padri della Lega del divorzio, che divenne l’indispensabile strumento organizzativo di aggregazione popolare intorno a quella decennale battaglia. Nel 1962 era stato, al secondo congresso del Partito Radicale, uno dei firmatari della mozione della Sinistra Radicale che chiedeva alla maggioranza del partito e alla sua classe dirigente di allora (quella del Mondo) di imperniare le proprie lotte laiche e anticlericali sulle riforme dei diritti civili, a cominciare dalla lotta per conquistare il diritto al divorzio, che allora sembrava impossibile conseguire (ed eravamo ritenuti pazzi a pretenderlo).

L’incontro con Loris Fortuna nel 1965 e la presentazione del progetto di legge che porta il suo nome innescò in tutto il paese una battaglia popolare, che rivelò alla sinistra come la questione del divorzio non fosse, una rivendicazione borghese o, come si diceva allora, una mera “questione sovrastrutturale” ma una grave questione sociale che riguardava le condizioni in cui erano costretti a vivere centinaia di migliaia di “fuori legge” del matrimonio. La vittoria parlamentare del 1970 e il grande successo laico nel referendum del 1974 spianarono la strada a quella che io definisco la “rivoluzione dei diritti civili”: obiezione di coscienza, riforma dei codici e dei tribunali militari, voto ai diciottenni, abolizione del reato di aborto e sua legalizzazione, abolizione dei manicomi, riforma del diritto di famiglia, parità dei diritti tra uomo e donna: un esito che dieci anni prima tutti giudicavano impensabile.

Segretario del Partito Radicale dall’ottobre 1968 a tutto il 1969 (aveva accanto come tesoriere Angiolo Bandinelli), deputato per 4 legislature dal 1976 al 1992, Mauro è stato l’unico giurista radicale a far parte, come membro “laico” eletto dal Parlamento, del Consiglio Superiore della Magistratura. In tutta la sua vita ha affrontato con coraggio, spesso come è capitato a molti di noi in condizione di solitudine, le sue battaglie per “una giustizia giusta”. Ricordo che, per sua iniziativa e proposta, già negli anni 60 ci davamo appuntamento davanti ai Palazzi di Giustizia per organizzare delle “contromanifestazioni” alle inaugurazioni degli anni giudiziari che venivano celebrati all’interno di quei Palazzi. E fu tra i primi a comprendere e a denunciare che l’origine dei guai della nostra giustizia derivava proprio dalle scelte compiute alla assemblea costituente. Prima ancora che nella mancata separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri o nella prassi dilagante che vede moltiplicarsi gli incarichi extragiudiziari dei magistrati, il primo e più grave vulnus che è stato inferto da allora al rapporto fra i poteri dello Stato è rappresentato dall’articolo che stabilisce l’obbligatorietà dell’azione penale.

Venivamo da una dittatura ed era comprensibile che si decidesse di sottrarre le scelte sulla politica giudiziaria al potere esecutivo. Ma la soluzione adottata, nell’impossibilità evidente di perseguire tutte le notitiae criminis, affidava di fatto ai singoli procuratori della Repubblica, o peggio ai singoli magistrati inquirenti, la scelta sulla priorità dei reati da perseguire e quindi, di conseguenza, sui processi che devono o non devono celebrarsi e sul loro ordine di priorità: un vulnus inflitto anche alla nostra democrazia perché nessuna autorità pubblica si assume la responsabilità di queste scelte e nessun organo democratico (neppure il Csm) può metterle in discussione o interferire su criteri in base ai quali vengono compiute.

Sulla base di queste convinzioni abbiamo lottato insieme contro il processo 7 Aprile e affrontato con determinazione il “caso Tortora”. Raccogliemmo le firme per tre referendum sulla “giustizia giusta” fra cui quello sulla “responsabilità civile” dei magistrati. Poi sul finire degli anni 80 e all’inizio dei 90 venne il momento per me doloroso delle separazioni. Si oppose alla trasformazione del partito radicale in partito transnazionale e se ne allontanò. Rispettai la sua scelta anche se credo sbagliasse nel ritenere che essa comportasse l’abbandono delle lotte per i diritti civili: Per due motivi: perché la lotta per i diritti umani, che è stata al centro del partito transnazionale, era intrinsecamente connessa a quella per i diritti civili e richiedeva un impegno assai forte per l’affermazione del diritto sul terreno inter- e sovra-nazionale e perché, come hanno poi dimostrato Piergiorgio Welby e Luca Coscioni, la stagione dei diritti civili non era affatto conclusa. Credo che non solo noi ma il Paese gli debba molto.

Addio Mauro. Che la terra ti sia lieve.