Buona profetessa della riscoperta che il femminismo farà del suo singolare percorso di vita e di scrittura, Sibilla Aleramo così annota nelle ultime pagine del suo Diario: «Tutto getto di me, chi mai se n’è accorto? Nessuno realmente quando il libro uscì. Fra venti, cinquanta, cent’anni chi farà giustizia alla donna che in queste pagine, e in tante altre, s’è così immolata?». «Chi leggerà tutte queste pagine, dopo la mia morte? Deciderà di distruggerle tutte? O potrà ricavarne qualche frammento di lucida intuizione?». Avendola letta a più riprese, trascrivendo ogni volta passaggi che arrivano come schegge di folgorante consapevolezza, non ho potuto fare a meno di fantasticare che avesse previsto anche me e l’appassionato interesse che le avevo dedicato per anni. Certa di rappresentare “qualcosa di raro nella storia del sentimento umano”, è Sibilla stessa a dare alle migliaia di pagine che aveva scritto per “narrarsi e spiegarsi”, il significato che più le premeva consegnare al futuro: «Niente letteratura, e niente anche, o pochissima arte. Ma un flusso irrefrenabile di vita».

Ciò che è arrivato effettivamente fino a noi, mezzo secolo fa, e che torna a riattualizzarsi per nuove generazioni di donne, è il lascito di una straordinaria coscienza femminile anticipatrice, il «pudore selvaggio» e la «selvaggia nudità» con cui ha «calato nella mischia» la più intima e insieme la più universale delle passioni umane: il sogno d’amore, «il miracolo che di due esseri complementari fa un solo essere armonioso». Attraverso una scrittura, che corre parallela alla vita, e che al medesimo tempo la costruisce e la interroga, Sibilla arriva a intuire un nodo essenziale della storia degli umani: il prolungarsi dell’infanzia, del legame originario con la madre, nella relazione amorosa adulta, quel «lungo sonno» da cui è difficile svegliarsi, perché vivere vuol dire accettare la singolarità di ogni individuo, la malinconia di una libertà che si desidera, ma che è faticosa da sopportare. Nel romanzo Una donna Sibilla, che ha avuto il coraggio di sottrarsi all’immolazione materna, ha ancora bisogno di celebrare la propria rinascita come «moderna asceta», «l’Umanità stessa, schiava e ribelle alle proprie leggi», forza rigeneratrice della sterile civiltà dell’uomo. Ma, a margine del suo slancio quasi mistico , ci sono già «migliaia di foglietti», di note prese, come lei dice, soltanto per necessità di riconoscersi, “al di là” dello stesso libro che scriveva. È in questi scritti apparentemente marginali che si fa strada la consapevolezza della centralità dell’uomo e della sua visione del mondo, la sua incuranza per l’anima femminile, la riduzione della donna al corpo che lo nutre e lo riscalda.