L’addio a un grande uomo di cultura
Chi era Tullio Pironti, editore-boxeur: la vita va presa a pugni, ma con rispetto
Sarà dura, d’ora in poi, scendere da Piazza Bellini attraversare Port’Alba e passare l’arco per immettersi in piazza Dante, sapendo che nello storico negozio posto a mano sinistra di chi guarda non potrà più accoglierti la figura da gigante buono di Tullio Pironti al quale ieri Napoli ha dato l’estremo saluto.
Le librerie sono fari di cultura, chiese laiche in cui è possibile alimentare riti di formazione e scoperta, passioni conclamate o segrete, dipendenze inguaribili da malattie che si accrescono con l’odore di vecchie carte, perversioni di chi si procura piacere nello sfogliare tomi polverosi e nell’ascoltare lo sfrigolio delle loro pagine accarezzate con delicatezza. Che se ne chiuda una non è la stessa cosa che vedere chiudersi una jeanseria o una paninoteca, che se ne vada il suo fondatore non equivale all’assistere impassibili al turn over dei gestori di una friggitoria, perché ogni epoca ha sul territorio i presìdi che ha saputo costruire e lasciarvi e la nostra è approssimativa e volgarotta. Un altro testimone civile, per dire, nume tutelare però di via Mezzocannone, è Raimondo De Maio e lui un figlio che fa il suo stesso mestiere ce l’ha, mentre se ne avesse Tullio lo ignoro. Anche qui c’era un’altra libreria Pironti, da tempo chiusa, che ha lasciato spazio a una bottega di cibo da strada per il turismo di massa mordi e fuggi.
Era infatti una famiglia di librai, la sua, che faceva questo lavoro da generazioni e sempre nel centro storico, dal tempo dell’avo Michele, magistrato antiborbonico e perciò sbattuto in galera con altri oppositori, che dopo l’unità si era tuttavia preso la sua rivincita ed era diventato addirittura guardasigilli del Regno d’Italia. Lo scugnizzo di via Tribunali ci aveva provato per la verità a dirazzare e a farsi strada altrimenti, prendendo letteralmente a pugni la vita, fino a diventare nazionale di pugilato, categoria pesi welter.
Il richiamo della foresta, la voce del sangue, lo aveva però alla fine inesorabilmente catturato lo stesso, sebbene con una nota originale: era infatti diventato anche editore di straordinario fiuto, strappando ai Golia del settore – dal battagliero e impavido Davide che era – grandi scrittori che segnavano epoche e inventando libri inchiesta: da Don De Lillo a Bret Easton Ellis, da Raymond Carver al premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz e a Fernanda Pivano, senza trascurare gli italiani, dai libri d’inchiesta sulle finanze vaticane o sulla strana morte di papa Luciani al grande successo della biografia cutoliana di Giuseppe Marrazzo, Il camorrista, da cui era stato tratto un film di successo, fino a Libri e cazzotti, scritto su se stesso con l’amico Mimmo Carratelli, esauritissimo, ma di cui era già prevista la riedizione.
Era un bel vecchio, Tullio Pironti, con una faccia da statua lignea incaica di uomo dalle mille battaglie combattute da avventuroso boxeur, tuttavia sempre corretto, perché – si sa – nella “nobile arte” si impara a lottare dentro regole precise e gli avversari si battono, ma nell’ammirazione e nel rispetto, perciò non si faceva fatica a riconoscerlo nell’animoso giovanotto che era stato e si mostrava nella fotografia coi guantoni esposta nella bottega. Un’altra luce della città che si spegne, lasciandoci più soli, più orfani, immalinconiti e mediocri.
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