Martedì 17 ottobre, sono le 18:59 locali. Una forte esplosione nel parcheggio esterno dell’ospedale di al-Ahli Arabi a Gaza provoca circa 500 morti. Un bagno di sangue, una crudeltà inaudita, un massacro tutto sulla pelle di innocenti civili, una barbarie senza eguali. Il numero di feriti supera quota 300. Il quadro emerso è terrificante. L’ennesima giornata di tensione sta per concludersi e a ridosso delle ore 19 accade l’indicibile. Le incognite dominano i primi momenti di terrore: un razzo o un missile, un attacco o un errore? Tutto appare incerto, le informazioni ufficiali tardano ad arrivare, ci si limita alle indiscrezioni non verificate e si osserva una sola desolante certezza: la strage ha cancellato per sempre le vite di centinaia di inermi sfollati che, costretti a lasciare le proprie case, si trovavano nella struttura ospedaliera.

Si apre il fuoco di accuse incrociate tra Hamas e Israele. Per l’esercito israeliano è stato un razzo della Jihad islamica; secondo Hamas la responsabilità è da attribuire agli Stati Uniti. Per il presidente americano Joe Biden, intervenuto in occasione dell’incontro a Tel Aviv con il premier israeliano Benyamin Netanyahu, «sembra che sia stato fatto dall’altra parte». «I dati mi sono stati mostrati dal dipartimento della Difesa», ha fatto sapere. Dal Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca – in seguito alle valutazioni sulla base dell’analisi di immagini dall’alto, intercettazioni e informazioni di fonte aperta – riferiscono che «Israele non è responsabile». Sulla stessa scia Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano: dalle evidenze condivise dalla nostra Intelligence con quelle di altri Paesi «non emerge una responsabilità di Israele».
Il totale sgomento e il profondo dolore, doverosi alla luce di quanto accaduto, dovranno presto lasciare spazio alla presa di coscienza della vera dinamica dei fatti. Restare aderenti alla realtà, senza cedere a facili osservazioni di facciata o meri sospetti per sentito dire, in questi casi non è facoltativo ma è l’imperativo. Dal suo canto Israele si muove su un binario ben preciso, respingendo le accuse giunte sul proprio conto e – con elementi alla mano – provare a ricostruire la vicenda.

Nella serata di martedì il ministero degli Esteri israeliano diffonde un video e un grafico per ribadire che, dal suo punto di vista, è stato un fallito lancio di un razzo della Jihad Islamica nell’ambito di uno sbarramento di razzi verso Israele. E sgombra così il campo su presunte azioni nell’area al momento dell’impatto. A sua volta la Jihad islamica parla di «bugie» e bolla le accuse come «false e infondate», imputando al «nemico sionista» l’intenzione di sottrarsi alla responsabilità del brutale massacro ricorrendo all’«invenzione di menzogne». Ma è sempre l’esercito israeliano a fare chiarezza con tanto di documentazione per dimostrare la propria estraneità, rilanciando immagini aeree prima e dopo il «lancio fallimentare di un razzo della Jihad islamica» che mostrerebbero l’assenza di aerei israeliani sopra l’ospedale di Gaza City. Generalmente gli attacchi israeliani lasciano un grande buco nel terreno, ma dalle immagini non sarebbe visibile alcun grosso cratere causato da un attacco aereo e questa potrebbe essere una delle prove in grado di assolvere Israele. Il portavoce militare israeliano ribadisce che l’esplosione è da ricondurre a un razzo difettoso lanciato dalla Jihad islamica da un cimitero non lontano.

Nella mattinata di ieri viene aggiunto un altro prezioso elemento: la registrazione di una conversazione tra due miliziani palestinesi che testimonierebbe come la tragedia sia stata causata da un razzo della Jihad islamica che avrebbe avuto una traiettoria sbagliata. «Stanno dicendo che appartiene alla Jihad islamica»; «Viene da noi?»; «Così sembra»; «Chi lo dice?»; «Stanno dicendo che il proiettile del missile è un proiettile locale e non come un proiettile israeliano»; «Ma Santo Dio, non poteva trovare un altro posto per esplodere?»; «Lo hanno sparato dal cimitero dietro all’ospedale Al-Ma’amadani, e ha fatto cilecca ed è caduto su di loro». Eppure la Jihad islamica si scaglia di nuovo contro Israele, respingendo la narrazione e affermando che l’angolo dell’impatto e l’intensità del fuoco «dimostrano che si è trattato di un attacco dall’aria».
Piovono dichiarazioni di inquietudine e sdegno ovunque, dall’Italia alla Francia passando per gli Stati Uniti e la Russia. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rinnova l’impegno «per proteggere la popolazione civile, risolvere i problemi umanitari più urgenti e assicurare una veloce soluzione di questa crisi». Per il presidente francese Emmanuel Macron è indispensabile fare chiarezza sulle circostanze: «Niente può giustificare il fatto di prendere di mira i civili». La strage lascia sgomenti. Un vile massacro che in maniera inevitabile decreta l’ingresso della guerra in Medio Oriente in una fase sempre più pericolosa e dagli sviluppi incerti. Il tutto si inserisce in quadro già di per sé precario, con l’incubo del terrorismo che è tornato a serpeggiare in Europa. Guido Crosetto, ministro della Difesa, pone l’attenzione su possibili rischi di vendetta da parte di radicalizzati: «Un incidente come quello dell’ospedale può portare magari 5, 10, 100 persone a pensare di dover vendicare una cosa che magari non sappiamo neanche da chi sia stata causata e questo è imprevedibile». L’allerta resta massima.