Il 2 ottobre 1983 cadeva di domenica. Dalle mura del carcere di Bergamo, affidate ad una lettera alla compagna, escono parole disperate: «Solo tre categorie di persone (ho scoperto) non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi e i magistrati».
Molti avranno riconosciuto, nell’autore di quel terribile j’accuse, Enzo Tortora, ancora all’inizio della sua dolorosa via crucis. Se oggi lo citiamo, non è però per parlare della vergogna giudiziaria del suo caso, immortale come la Storia della colonna infame. Né per mettere sullo stesso piano quelli che lui definiva “crimini” con le disinvolte approssimazioni e l’insostenibile leggerezza che accompagnano troppo sovente l’avvio di inchieste penali, prima; l’esercizio dell’azione penale, dopo. Ordigni formidabili, capaci di travolgere vite, famiglie, patrimoni, imprese e perfino governi.

Ferite insanabili

Ordigni le cui schegge impazzite, propagate con la forza travolgente di media e social media, arrecano ferite insanabili, anche dalla più limpida delle assoluzioni. Evochiamo Tortora, perché a distanza di più di quarant’anni dallo show del suo arresto quasi nulla è cambiato in questo Paese. Un referendum e due leggi sulla responsabilità civile dei magistrati hanno lasciato intatto un privilegio, alieno e opposto al principio su cui si reggono i sistemi democratici: ad ogni potere dovrebbe corrispondere una responsabilità. Dalle nostre parti, invece, ci si ostina a difendere un fortino di irresponsabilità, quando chi sbaglia gravemente indossa la toga del magistrato. L’argomento principe è che lo spettro di sanzioni inibirebbe la sacrosanta caccia ai reati, specie quelli dei cd. potenti (il nuovo tipo d’autore: politici, imprenditori, white collars, ecc.), favorendone l’impunità.

Se è vero che inibire è termine polisenso, il cui significato non è quello esclusivo di vietare bensì anche di frenare, l’adozione di misure idonee a prevenire l’avventurismo di certe iniziative giudiziarie, specialmente quelle del pubblico ministero, farebbe del nostro sistema penale lo specchio dell’art. 27 della Costituzione: da principio di carta, la presunzione d’innocenza evolverebbe finalmente in realtà effettuale. Un faro, la cui luce dovrebbe sempre guidare chi -alle condizioni dovute- legittimamente si accinga a invadere il terreno dell’altrui libertà personale (lo è già la semplice iscrizione nel registro notizie di reato). Chi tenga al rispetto delle regole, vuole inquirenti che indaghino e giudici che sentenzino, consapevoli però dell’enormità delle conseguenze del loro attivarsi e pronti a “pagare” come qualsiasi altro consociato per le proprie inescusabili manchevolezze.

L’insegnamento

L’esperienza post-Tortora ci ha insegnato che la responsabilità civile non funziona: invalicabili asticelle per l’ammissibilità delle domande risarcitorie; impraticabilità di una responsabilità diretta del magistrato; giurisdizione fin troppo domestica; ripartizione del costo risarcitorio su ogni cittadino, nei rarissimi casi di riconosciuta responsabilità dello Stato per il fatto del singolo magistrato, suggeriscono di non confidare in questo rimedio. Identico ragionamento vale per la responsabilità disciplinare: ogni anno più del 90% degli esposti viene direttamente archiviato dal Procuratore Generale e la tipologia delle sanzioni inflitte dal CSM vede prevalere di gran lunga quelle più blande di ammonimento e censura.

Resterebbe la strada della valutazione di professionalità, per l’avanzamento in carriera, su cui far pesare certe condotte a testa bassa, spesso reiterate verso i medesimi bersagli. La timidezza della proposta Cartabia innescò addirittura lo sciopero degli interessati, dal seguito modesto ma dall’impatto frenante. Urticava l’idea del fascicolo per la valutazione del magistrato, avversandosi controlli che non fossero meramente a campione, i soli tollerati. Il nuovo governo ha cercato di assecondare i desiderata di ANM, ma dovrà confrontarsi con i pareri rilasciati dalle commissioni parlamentari, favorevoli a verifiche più ampie. Insomma, la linea Maginot dei magistrati è quella del campione. Del resto, loro, i campioni dell’inchiesta su Tortora li elessero al CSM.

Lorenzo Zilletti

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