A tre mesi dalla elezione del Presidente della Repubblica è inevitabile aspettarsi ciò a cui assistiamo: un numero crescente di dichiarazioni, prese di posizione di politici e di articoli di giornale circa il prossimo inquilino del Quirinale.

Sembra però che, almeno per ora, vi siano solo due certezze indubitabili che caratterizzano in questo momento la vicenda:
1. I parlamentari (o almeno la loro maggioranza) non vogliono tornare a casa e ambiscono a maturare completamente la loro pensione: per questo sono ostili a possibili elezioni anticipate che il nuovo Presidente della Repubblica potrebbe indire.
2. Nessuno sa quali siano le intenzioni di Draghi a proposito del Quirinale, anche se siamo consapevoli del fatto che una sua decisione a proposito, semmai ne esprimerà una, avrebbe un peso decisivo.

Al di là della ridda di ipotesi fino a questo momento piuttosto vaghe e sostanzialmente inutili, tenuto conto dello stato ingovernabile del Parlamento che voterà a scrutinio segreto, tra le riflessioni più interessanti al riguardo – però ad un livello più alto sul tema dei rapporti fra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio nel nostro ordinamento costituzionale nella storia repubblicana (che è poi un nodo essenziale del dibattito) – sono state presentate da Andrea Manzella in un saggio sul “Presidente del Governo” che sarà pubblicato nel volume I Presidenti e la Presidenza del Consiglio dei ministri nella storia della Repubblica, diretto da Sabino Cassese, presso la casa editrice Laterza. Manzella, che è da lungo tempo uno degli studiosi più importanti e più attenti del nostro ordinamento politico-costituzionale, dedica alla coppia dei due Presidenti delle considerazioni che servono, invece che a fare vane previsioni o a dare consigli che immaginiamo non richiesti, a chiarire punti essenziali dello stato delle cose fra norme e prassi.

Oggi c’è in dottrina una tendenza a qualificare il nostro ordinamento come “parlamentarismo con correttivo presidenziale”. Ora, non vi è dubbio che, come ha ricordato anche di recente Stefano Ceccanti, il Presidente della Repubblica in Italia è più che altrove una figura con rilevanti funzioni, tanto come garante della costituzione che come rappresentante dell’unità politica al di sopra delle parti della normale competizione democratica. E questo non da ora. Quello che si può osservare è che, dopo la fine dell’egemonia democristiana, il sistema dei partiti in Italia è entrato in una fase di ristrutturazione, purtroppo, dopo molti anni, ancora in corso e che il Presidente della Repubblica è dovuto intervenire con maggior vigore nei confronti dei partiti e di parlamenti non in grado di garantire al paese un governo compatibile con gli impegni che ci legano all’Unione Europea, nel rispetto degli art. 11 e 117 della costituzione (dove si parla di “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”). Peraltro, è il caso di ricordare che anche il Presidente tedesco Steimeier, dopo le precedenti elezioni del parlamento tedesco del 2017, ebbe un ruolo importante nel persuadere i partiti – ben più solidi di quelli italiani – a raggiungere un accordo per la formazione di una coalizione di governo, che si trascinava da mesi.

Certamente, lo stato confuso del sistema dei partiti che caratterizza il nostro paese ha accresciuto ormai da diverso tempo il ruolo dei Presidenti della Repubblica nel corso delle crisi di governo e non solo. Ma non ne ha mutato per l’essenziale né di diritto né di fatto il ruolo e le competenze. Probabilmente, solo la fatica e l’impegno nell’assumerne il ruolo.

Il saggio di Manzella pone peraltro l’accento su un punto, a nostro avviso più importante nel contesto odierno e al quale si fa non sufficiente attenzione: la trasformazione significativa del ruolo del “Presidente del Governo”, questa volta, legata alla costruzione dell’Unione Europea. Come viene osservato, quest’ultimo non è solo titolare dell’indirizzo politico del Governo, ma anche, in quanto membro del Consiglio europeo, il rappresentante dell’Italia nella sede di fondamentali decisioni degli stati membri dell’Unione e il tramite più autorevole con ciascuno dei partner europei. Alle riunioni del Consiglio e ai summit internazionali, non possiamo mandare i due presidenti (della Repubblica e del Consiglio), come facevano i francesi al tempo della coabitazione Chirac-Jospin – all’origine, peraltro, della infelice riforma costituzionale che ha introdotto in Francia il quinquennio per il presidente della Repubblica.

Il capo del governo italiano, una volta in carica, è responsabile di fronte al Parlamento, cioè nei confronti della sua maggioranza. Non come in Francia, dove in genere lo è innanzitutto di fronte al Presidente, rispetto al quale funziona come un fusibile, che il capo dello stato cambia a piacere, come abbiamo visto spesso e ancora di recente con la sostituzione di Edouard Philippe con Jean Castex.

Nel nostro ordinamento costituzionale i due Presidenti – quello della Repubblica e quello del Consiglio – hanno tutti e due ruoli importanti, entrambi accresciutisi negli ultimi anni. Ma si tratta di ruoli distinti: anche se in questa fase, critica per il nostro paese, il Capo del Governo ha assunto anche lui un ruolo super partes e quello di garante dell’indirizzo politico del paese nei confronti dei membri dell’Unione Europea, che a Mario Draghi hanno dato fiducia.
I dati elementari e fondamentali della costituzione non saranno cambiati dalla prossima elezione del Capo dello Stato. A lui o a lei si possono solo fare gli auguri in anticipo, perché certamente ne avrà bisogno.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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