Non c’è passeggero che non si sia interrogato, almeno una volta, nell’attesa di un decollo, sulla figura affascinante e misteriosa di chi si assume la responsabilità di scorrazzarci per migliaia di chilometri sopra le nuvole, magari cercando più o meno discretamente di spiare nella cabina di pilotaggio finché la porta rimane aperta. Filippo Nassetti, responsabile delle relazioni con i Media di Alitalia, conduce il lettore direttamente dentro la cabina di pilotaggio, e ben oltre, con l’obiettivo di intercettare il segreto dell’“uomo che sta dietro al pilota”, raccogliendo esperienze, ricordi, rimpianti e rivincite di chi ha deciso di intraprendere una professione ambita, dura e non priva di rischi e di pericoli.

“Molte Aquile ho visto in volo. Vite straordinarie di piloti”, pubblicato per i tipi di Baldini e Castoldi, è costituito da una serie di racconti scritti a partire dalle testimonianze di alcuni piloti italiani. Esperienze diverse ma accomunate da una vita caratterizzata da una rigida disciplina, scrupolosi addestramenti, formazione continua, ma anche e soprattutto da un’indomita passione: quel sogno siderale, al contempo infantile e superomistico , di “staccare l’ombra da terra”. Smontando via via molti pregiudizi che riducono spesso la figura del pilota a un cliché hollywodiano fatto di rigidità e di inaccessibile e militaresca austerità, i racconti di Nassetti esplorano gioie e dolori di anime appassionate, descritte tanto nelle loro virtù e quanto nelle loro debolezze. Il fil rouge che tiene insieme i racconti è il ricordo ancora vivido e doloroso che Nassetti nutre per il fratello Alberto, la cui vita è stata segnata da un destino beffardo: aviatore brillante, amante dell’alpinismo e del motocross, Alberto Nassetti inseguì il demone del volo superando non pochi ostacoli, ivi compreso la battaglia contro un cancro al cervello, che rischiò prima di ucciderlo e poi di concretizzare la sua più grande paura: non poter più tornare a volare. “Rapace ferito”, tornerà al di là di ogni aspettativa a solcare i cieli, ma troverà la morte pochi anni dopo, proprio in un incidente aereo, a Tolosa, appena ventottenne.

La dimensione drammatica riecheggia anche in altri racconti, come quello di Pier Paolo, cui il volo tolse la vita un mese prima che il figlio nascesse. Il suo piccolo Pier Francesco in seguito fotograferà di nascosto gli aerei in arrivo e in partenza da Fiumicino, nella spasmodica ricerca di un senso o di un destino. Il pericolo sembra essere talvolta il prezzo da pagare per avvicinarsi alle altezze degli dei, ed è impossibile da escludere anche per professionisti abituati a lavorare con standard di programmazione e di precisione altissimi. Questa dimensione del rischio affiora tanto nel racconto dell’ebbrezza dei voli acrobatici, quanto nel ricordo commosso e traumatico di alcuni incidenti, come il disastro delle Frecce Tricolore del 1988 a Ramstein, in cui persero la vita tre piloti e numerosi spettatori.

Il volo perfetto non esiste. Solo un treno che corre sui binari percorre una traiettoria perfetta. Un aereo si muove su tre assi ed è impensabile che non ci siano delle sbavature, per quanto piccole e, a volte, impercettibili”. L’umanissima impossibilità di tenere sotto controllo tutto è sempre in agguato, e non c’è pilota che non possa raccontare di episodi in cui “se l’è vista brutta”. La voglia di tornare alla cloche per molti è incontenibile, come per Francesco Miele, che dopo un brutto incidente di moto che gli ha portato via una gamba, è in seguito riuscito a condurre nuovamente voli di linea. “Ricevetti tante dimostrazioni d’affetto dall’ambiente, ma la vera forza la trovai nel bambino dentro di me. Non potevo rinunciare al mio sogno. Non lo avrei permesso a nessuno, tantomeno al destino”.

Il desiderio insopprimibile di volare è il cuore pulsante delle vite raccontate da Nassetti, quella “passione feroce e ponderata” che spesso affonda le radici nell’ingenuità delle ambizioni dell’infanzia, ma che per tramutarsi in realtà deve confrontarsi con la necessità di uno studio scrupoloso e di anni di preparazione. Per Marco Conte il desiderio di volare nacque dal candore commovente della pretesa di un bambino la cui madre salì in cielo troppo presto: “allora voglio andare in cielo anche io”, disse quel bambino. Diventato pilota, si sentirà sempre guidato da una buona stella, solcando le nubi sotto la protezione dell’ “astro materno sempre pronto ad illuminare i crocevia importanti”.

Il tono di lieve malinconia del testo si alterna a momenti più leggeri, tramite la descrizione di vezzi, curiosità e abitudini che caratterizzano la vita dei piloti, dalla necessità di dare un nome femminile agli aereiperché vanno persuasi e corteggiati con cura e attenzione”, ai riferimenti orografici personali che ogni pilota accumula indipendentemente dalle rotte oramai stabilite da sofisticati automatismi informatici. Non mancano riferimenti a piccoli dettagli tecnici, descritti senza mai cadere nel tecnicismo. Scopriamo, tra l’altro, che quell’indecifrabile arabesco di comandi, pulsanti e leve presente nella cabina di pilotaggio negli ultimi anni è diventato, grazie agli automatismi, meno vincolante rispetto alla capacità decisionale dei piloti. “Forse oggi ci sono più comandi in uno Smartphone che in un cockpit”. Piccoli Ulisse in uniforme, i piloti che Nassetti ci racconta adorano la tecnologia ma non rinnegano mai la dimensione romantica di questa professione, che lega il “seme della curiosità al fascino dell’inesplorato”.Il titolo riprende un verso di un componimento scritto dallo stesso Alberto Nassetti, posto in calce al testo, in cui emerge il volo come forma poetica e come slancio dell’anima,un sogno ancestrale che l’uomo porta in sé dalla notte dei tempi. Forzando l’abusato adagio di un vecchio film, il vero mistero del volo non è nella caduta e nemmeno nell’atterraggio, ma nel fascino irresistibile della vertigine del decollo.