Nel corso del 2020, quasi 12 milioni di lavoratori, tra dipendenti e autonomi, hanno subito la sospensione o la riduzione della propria attività a causa del lockdown deciso dal Governo. Le maggiori ripercussioni della crisi ricadono sui giovani e sulle donne. Circa 5,3 milioni di famiglie risultano avere un Isee minore di 9.360 euro annui, con un aumento generale della povertà. Infine, nel 2021 che è appena cominciato, «la situazione è destinata a diventare “esplosiva” con l’interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti». Il rapporto Cnel sul mercato del lavoro – che viene presentato oggi al pubblico – racconta così l’anno orribile segnato da Covid-19.
La prima ondata epidemica ha colpito soprattutto la categoria degli under 35. “Bruciata” gran parte della crescita accumulata nei sei anni precedenti, si è accentuata la frattura con gli over 50: i giovani occupati sono diminuiti di ben 5,7 punti, a fronte di una crescita degli occupati over 50 (+1.7 punti percentuali). Il motivo? I giovani lavorano spesso nei comparti produttivi più colpiti dalle limitazioni governative e si accontentano di contratti di lavoro precari e non tutelati.
Stesso fenomeno per le donne. Rispetto al periodo pre-crisi l’occupazione femminile si è ridotta di quasi 2 punti percentuali, mentre il calo per gli uomini è stato inferiore (un solo punto percentuale). Quali sono i motivi di questa forbice tra i generi? Certamente i compiti di accudimento dei bambini, conseguenza della chiusura delle scuole, ludoteche e altri ambienti ricreativi e di cura. Con i più piccoli costretti a restare in famiglia. Per far fronte a questi impegni, le donne hanno rinunciato al proprio lavoro o hanno smesso di cercarne uno nuovo. Le precedenti crisi avevano colpito maggiormente l’industria e quindi gli uomini. Questa volta il Covid si è abbattuto sui servizi e sui lavori precari. Dove le donne sono di più. Una triste realtà che, per il Cnel, «non è altro che lo specchio di un ritardo culturale profondo esistente nel nostro Paese e nella classe politica».
Un ritardo simile si riaffaccia nel Mezzogiorno, l’area che già prima dell’emergenza mostrava le condizioni occupazionali peggiori: qui l’occupazione si è ridotta del 5.3% tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo del 2019, mentre al Centro-nord il calo è stato di circa il 3%.
Il governo ha risposto all’emergenza adottando diverse misure a sostegno dell’occupazione, dal blocco dei licenziamenti alla cassa integrazione (Cig). Il ricorso alla Cig – estesa eccezionalmente a tutte le imprese, indipendentemente dal settore produttivo e dal numero di addetti – ha superato largamente quello della crisi del 2008. Secondo i dati dell’Inps, tra gennaio e settembre, le ore di Cig complessivamente autorizzate risultano pari a circa 3 miliardi. Un valore storico che supera di due volte e mezzo il numero di ore autorizzate nel 2010, anno già pesante per le conseguenze della crisi finanziaria internazionale del 2008. Tra i settori che hanno fatto maggior ricorso a questi strumenti: commercio, trasporti, terziario professionale, accoglienza e ristorazione, costruzioni e servizi alla persona. Il settore della metalmeccanica da solo ha richiesto il 14 per cento delle ore. Oltre il 60 per cento delle ore totali sono state autorizzate nelle regioni del Nord, dove si concentra la maggior parte delle attività produttive e dove le restrizioni e le chiusure sono state più pesanti. Molti lamentano che la gran parte dei cassintegrati debbano ancora ricevere quanto promesso. Ma questa è un’altra storia. Ancora tutta da raccontare.