Come dicono i bravi teorici del giornalismo, le notizie e le opinioni devono essere messe separate. La notizia è semplice: l’agenzia statale iraniana che fornisce statistiche sulla propria popolazione ha pubblicato un dato: nel trimestre definito “primavera 2021” sono stati registrati 9.753 matrimoni ufficiali in cui le “mogli” avevano una età compresa tra i 10 e i 14 anni. La notizia, tradotta da Nessuno tocchi Caino, è credibile. Così come è credibile l’opinione di un epidemiologo iraniano, Mohammad Reza Mahboubfar, il quale, in una intervista alla testata Rokna, ritiene che i dati siano fortemente sottostimati. «I numeri reali dovrebbero essere 5 o 6 volte più alti», perché bisogna calcolare la riluttanza delle famiglie a rendere pubbliche le loro cose, la resistenza “politica” di molte minoranze etniche che non collaborano volentieri con la burocrazia centrale dello Stato, e bisogna anche calcolare l’inefficienza stessa della burocrazia, e quindi delle sue statistiche, soprattutto quando si tratta di zone rurali e montane, ossia la gran parte del paese.

Però già qui siamo nella zona di transizione tra notizia e opinione. Di sicuro in Iran 100 minorenni vengono sposate ogni giorno, mentre è opinione di alcuni che potrebbero essere 500/600. Ogni giorno. Così come in fin dei conti è una “opinione” la forma passiva che abbiamo usato: le ragazzine non si sposano, ma, sosteniamo noi, “vengono sposate”. Una delle principali organizzazioni iraniane (in esilio) per i diritti sociali e umani, Women’s Committee of Iran NCRI, usa termini forti: questo è stupro legalizzato. «Il matrimonio precoce in Iran è tra gli esempi più evidenti di violenza contro le donne nel governo misogino dei mullah. Il matrimonio precoce significa stupro. Quando un uomo adulto sposa una bambina, abusa di quella bambina». Sì. Difficile sostenere il contrario. Però, come si dice in questi casi, la questione va contestualizzata. Se un uomo adulto sposa una ragazzina così piccola è perché sua madre (la madre dell’uomo) l’ha educato che questo è un modo opportuno di comportarsi. Se una ragazzina viene mandata via di casa e affidata a un uomo adulto, è perché la madre della ragazzina ritiene che questo sia il modo giusto di comportarsi. Certo c’entra molto anche la povertà. Lo dice una ex parlamentare iraniana, Fatemeh Zolghadr: «Molte famiglie povere decidono di far sposare le figlie minorenni come mezzo per ridurre le spese familiari».

Ma certo c’è anche e soprattutto una tradizione culturale. Non che in Italia fino a cento anni fa i matrimoni con ragazze minorenni fossero rarissimi, ma il filtro “morale” della tradizione cattolica ha impedito che le bambine di 10 anni andassero in spose con normalità. Tutte le culture vanno rispettate. C’è sicuramente un aspetto culturale predominante in questa vicenda. Anzi, quasi un aspetto “storico”. Secondo le fonti islamiche tradizionali, Aisha, la terza moglie di Maometto e la sua “Preferita”, avrebbe avuto 6 anni al momento del matrimonio. Matrimonio che però sarebbe stato “consumato” solo al compimento dei 9 anni. Da allora nella tradizione islamica più osservante una bambina di 9 anni viene considerata “donna” a tutti gli effetti. Che poi 9 anni non sono nemmeno davvero 9: in Iran è in vigore l’anno lunare islamico, che dura 11 giorni meno dell’anno solare occidentale.

Quindi, secondo i nostri parametri “solari”, una bambina iraniana di 10 anni ha in realtà 9 anni e 8 mesi. Come dicevamo prima, c’entra la povertà e la tradizione. Difficile stabilire se più l’una o più l’altra, o prima l’una o prima l’altra. Di certo la pratica delle spose bambine è diffusa in diverse regioni dell’Africa e dell’Asia, e la povertà c’entra sicuramente molto. In Europa il fenomeno è quasi scomparso, sopravvivendo solo in alcune comunità nomadi, che però sfuggono a tutte le statistiche perché i loro riti non si celebrano né in Comune e men che mai in Chiesa. Queste storie vanno raccontate. Senza facili indignazioni, ma perché la consapevolezza circoli, e gradualmente, tra i mille problemi del mondo, si affronti anche questo.

Da un paio di settimane in Italia molti sostengono che toccare il sedere a una giornalista sia violenza sessuale. Va bene, ma allora cerchiamo di dare una mano anche alle ragazzine, molto più piccole e ignare delle giornaliste, che in molte parti del mondo vengono toccate, e non solo strusciate, nell’interezza della loro innocenza.