Giovanni era nato uomo, ma voleva essere una donna. Estraneo al suo corpo e al suo sentire, aveva intrapreso il percorso per cambiare sesso. Giovanni sentiva che il suo nome non corrispondeva alla sua assenza e per questo aveva scelto di chiamarsi Chiara. Chiara è morta, a diciotto anni. Si è stretta un lenzuolo intorno al collo, l’ha attaccato a una trave di legno della sua camera da letto e ha deciso di porre fine alla sua vita. Chiara si è suicidata lunedì nella sua casa di Miano. Chiara non c’è più e non ci sono più nemmeno i sogni, le aspirazioni, gli amori di una ragazza di diciotto anni. E non ci sono più perché Chiara sentiva che per lei e i suoi sogni in questo mondo non c’era spazio, un mondo che le si è rivoltato contro con minacce, atti di bullismo, scaraventandole addosso una quantità di sofferenza inimmaginabile.

Chiara non ce l’ha fatta, il lenzuolo è stato più stretto della mano che qualcuno a provato a tenderle. Chiara non c’è più e noi dobbiamo chiederci se è umanamente accettabile, se è comprensibile che accada questo: che una ragazza di diciotto anni si tolga la vita perché la società non accetta la sua identità sessuale. Dobbiamo chiedercelo perché siamo tutti coinvolti. A interrogarsi sulla morte di Chiara c’è anche la Procura di Napoli che ha disposto l’autopsia del corpo per chiarire dinamiche ed eventuali violenze subite dalla giovane. A dare la notizia della morte di Chiara il Gay Center di Roma, il numero verde contro l’omotransfobia al quale Chiara si era rivolta due anni fa, quando era ancora minorenne, per raccontare la violenza, il bullismo e l’emarginazione che subiva da tempo per aver deciso di esprimere la sua identità femminile.

Dopo la denuncia, che Gay Help Line l’ha aiutata a presentare tramite l’Oscad (l’Osservatorio interforze del Ministero degli Interni, contro gli atti discriminatori), Chiara aveva trovato accoglienza e supporto nella Comunità per minori a rischio. «Eppure, la strada per chi denuncia è in salita, in particolare per i ragazzi minorenni: l’assenza di protocolli di protezione e allontanamento immediato dagli autori delle violenze, il lungo ed estenuante percorso della giustizia che spinge le giovani vittime a giustificarsi, la mancanza di comunità per minori che accolgono ragazze e ragazzi trans sulla base della loro identità del genere e non del sesso, il rischio di essere vittimizzati da operatori impreparati ad accogliere le identità senza pregiudizi. Tutto questo Chiara aveva dovuto e saputo affrontarlo. Ci era passata attraverso. Ma non c’è l’ha fatta» racconta Gay Center.

«Ho seguito Chiara quasi dall’inizio fino a pochi mesi fa, ed unisco il cordoglio a quello dell’associazione, e dei suoi cari, e proprio nella sua memoria lavoreremo per accogliere sempre più ragazze e ragazzi come lei che vengono emarginati dalla società e/o dalle famiglie» assicura Sonia Minnozzi, responsabile della Casa famiglia “Refuge Lgbt” di Gay Center. Ora il dolore si mischia alla rabbia, non solo verso quella fetta della società civile bigotta e retrograda che non ha ancora capito che la mia libertà finisce dove inizia la tua, non un passo prima, ma anche e soprattutto con quella politica che un passo per normalizzare i gay e condannare fermamente chi ancora li trovava “strani” poteva farlo approvando il Ddl Zan. Ma niente da fare, lo affossarono in Parlamento.

Ricordo L’esultanza degli avversari al momento della sconfitta subita in Senato dai suoi promotori, fu un momento di rara bassezza del genere umano e della politica. Quando si alzarono dalle poltroncine rosse per esultare sapete che giorno era? Era proprio il 27 ottobre di un anno fa. Chi sa se lo stesso giorno di quest’anno avranno qualcosa per cui gioire. Chiara non ce l’aveva più. E come cantava Fabrizio De Andrè per la morte di Pierpaolo Pasolini: “Cos’altro vi serve da queste vite, ora che il cielo al centro le ha colpite…”

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.